Diego Alverà racconta. Il grande cuore di Vittorio Brambilla.

Uno come lui mica poteva nascere a Lodi, a Parma o a Cremona. Uno come lui poteva venire al mondo solo in un posto, nel più speciale. Perché Vittorio Brambilla poteva nascere solo a Monza, a pochi passi da uno dei più straordinari autodromi di sempre, a pochi metri dal tempio delle corse e della velocità.

Un combattente coriaceo e ostico

A Monza Vittorio era di casa in tutti i sensi. Su quel tracciato, oltre al fiato corto dei motori e al mulinare stridulo degli pneumatici, si rincorrevano tutti i suoi sogni e una profonda attrazione per la velocità. Vittorio era un combattente, coriaceo e ostico, abituato a remare nelle posizioni di rincalzo, pronto a fare a sportellate con avversari al volante di monoposto spesso acerbe e problematiche. Anche per questo di quel circo del rischio, Vittorio divenne un protagonista regalando alle tribune brividi e spettacolo. Perché Vittorio domava meccaniche e motori. Aveva imparato a tenere in pista monoposto altrimenti inguidabili, aveva capito come controllarle sino a spingerle nel vento. Era diventato bravo in quella specialità di seconda fila.

Un acrobata della velocità

Vittorio era un vero acrobata della velocità. Danzava sul filo dei secondi a bordo anche e soprattutto di auto scarsamente competitive. Eppure riusciva a dare filo da torcere a tutti gli avversari. Quel suo straordinario talento emergeva ogni qual volta le bizze del destino o le mutevoli condizioni atmosferiche annullavano i vantaggi accumulati da soldi, sviluppo, cavalli e aerodinamica. Era in quelle difficili e scivolose circostanze che le sue ruote finalmente giravano alla stessa velocità dei rivali, erano acqua e tempesta a regalargli chance altrimenti impensabili. Proprio lì, in quei frangenti bagnati e instabili, nel mezzo di nuvole cariche di acqua e polvere, emergeva infatti tutta la sua esuberante bravura, quella che gli faceva sfruttare ogni singolo cavallo da motori spompati, che gli permetteva di accelerare dove gli altri frenavano, di scodare nervosamente nei punti in cui nessuno azzardava. Perché il suo mestiere era correre con mezzi che non correvano, era andare veloce con monoposto che faticavano anche solo a tenere la pista. Lo faceva da sempre, non solo quando pioveva. Perchè Vittorio non aveva solo un piede pesante come un macigno, ma anche una speciale sensibilità e un grande cuore, lo stesso che gli valse la stima incondizionata del pubblico e la tessera di socio onorario dell’esclusivo club dei più temerari.

Un predestinato

Come molti altri talenti cristallini della sua generazione, anche Vittorio si mise al volante in tenera età. La sua infanzia trascorse per buona parte a giocare con il fratello Tino nell’officina di famiglia. Quel rumoroso cono d’ombra tenne a battesimo speranze inconfessabili. Nel destino di Vittorio e di Tino c’era la pista, quel lungo nastro di asfalto a pochi chilometri da casa che scuoteva animi e pensieri ogni fine settimana. La moto fu il primo amore. Poco più che ventenne, Vittorio si iscrive al trofeo Cadetti 175 e non sfigura, mentre il fratello maggiore si dedica già alle quattro ruote. Promuovere e sostenere due carriere motoristiche è, però, impegno troppo gravoso per la famiglia. Così Vittorio attende il suo momento e fa il tifo per il fratello maggiore nella speranza che i primi successi regalino opportunità. Tino lo ripaga e scala velocemente le categorie sino alla Formula 2, regalando anche a luo abitacoli, spazi e risorse economiche. Vittorio non si fa pregare e appena può si mette in mostra. Nel 1972 arriva il primo titolo italiano. Lo conquista al volante di una Brabham-Ford e di una Birel spinta da un propulsore Alfa Romeo. Sono anni importanti per la carriera, perché molte delle relazioni che maturano in quel magico perimetro tra pista e box si riveleranno fondamentali per il suo futuro.

Il grande balzo

La stagione successiva Vittorio tenta la scalata al titolo europeo di Formula 2. Inizia il campionato pilotando la March del fratello, ma la svolta arriva solo nel corso della stagione con l’inizio di un fortunato sodalizio commerciale con Beta Utensili. Finalmente arrivano risorse fresche da investire e mettere a frutto. Vittorio acquista una ben più competitiva March 732 motorizzata BMW e comincia a mettere in fila gli avversari più agguerriti e titolati. Quando spinge, è una furia della natura, irruento e caparbio. Per tutti in pista è un brutto cliente sia quando si attacca agli scarichi che quando guida scompostamente il plotone. Vittorio sale sul gradino più alto del podio in Austria e in Francia. Terminerà la stagione al secondo posto solo per via di un regolamento complicato. L’aria però è cambiata. Finalmente gli addetti ai lavori si accorgono di lui. Lo sponsor, la famiglia Ciceri, crede fermamente nelle sue capacità e finanzia il grande salto. E’ così che nel 1974 Vittorio approda finalmente alla massima serie al volante di una March 741. E’ la realizzazione di un sogno cullato per anni. Sarà proprio con quella vettura dall’inconfondibile livrea arancione che Vittorio entrerà nella leggenda.

Anima e cuore

Quella prima stagione lo vede fare raramente capolino nel gruppo dei primi. Vittorio è bersagliato dalla sfortuna ma l’abilità che mette in mostra è grande quanto il suo cuore. Finisce a punti sulla pista austriaca, la sua preferita dopo quella di Monza, e quel risultato pare un buon viatico per la stagione successiva. Il 1975, infatti, pare proprio il suo anno, ma la 751 si rivela tanto veloce quanto fragile. Il punto debole sono i freni che si surriscaldano rapidamente e vanno letteralmente in fiamme. Brambilla strappa la pole position in Svezia e a Zolder si tiene dietro tutta la concorrenza sino a che la meccanica non lo abbandona. In quelle condizioni Vittorio ha bisogno di una mano. Attende paziente la prima acqua stagionale, non solo per la sua proverbiale abilità di pilota, ma anche per raffreddare meglio dischi e tamburi giungendo quindi al traguardo.

Il trionfo di Zeltweg

Domenica 17 agosto si corre sul tracciato “amico” di Zeltweg il Gran Premio d’Europa. Piove a dirotto e fa freddo. E’ una strana e tragica domenica. Nel warm-up della mattina, la March numero 28 del team Penske, guidata dalla giovane promessa Mark Donohue, finisce disastrosamente fuori pista per lo scoppio di un pneumatico. Il crash è terrificante e non lascia scampo al giovane pilota americano che entra in coma. Vi rimarrà tre giorni prima di andarsene per sempre. Sulla pit-lane il clima è plumbeo dentro e fuori gli abitacoli. A tenere compagnia ai piloti in griglia ci sono preoccupazione e rabbia. Brambilla parte dalla quarta fila e, all’abbassarsi della bandiera, inizia una straordinaria ed emozionante rimonta andando a prendere tutti i migliori sfilandoli, uno per uno. La sua March affianca e super Hunt, Pryce, Mass, Peterson e Lauda. Vittorio guida come un mago, ammaestrando il diluvio, guadando rivoli d’acqua e pozzanghere per ventinove lunghi giri, prima dell’inevitabile sospensione della gara. L’abbassarsi della bandiera a scacchi è una specie di liberazione, la fine di un incubo. La gioia è incontenibile e il pilota brianzolo si lascia finalmente andare alla tensione e all’entusiasmo. Alza ambedue le braccia dal volante e perde il controllo della March distruggendone il musetto sul guard-rail ma riuscendo comunque a terminare il giro d’onore. Quella vittoria, ottenuta, a trentotto anni suonati, con un’esaltante rincorsa a Lauda e Hunt rimane, ancora oggi, un manifesto incredibile. Tra quelle curve e quegli appoggi radenti e bagnati Vittorio scrive infatti una straordinaria pagina dell’enciclopedia delle corse. Tra quelle compressioni lascerà per sempre il suo testamento spirituale, il vivido lascito di un pilota autentico e aggressivo dal cuore gigantesco. Proprio questo, purtroppo, finirà per tradirlo, nella sua casa di Lesmo, il 26 maggio 2001, a solo pochi metri da due delle più belle e veloci curve di sempre. Il suo autodromo, la sua città e la sua gente lo ricorderanno sempre con affetto e gli intitoleranno anche una piazza sul filo dei ricordi di tutta quella straordinaria epopea. Anche per questo il suo spirito non lascerà mai quell’amato e magico perimetro.