Diego Alverà racconta. La fuga infinita di Harry Houdini.

Harry aveva conosciuto la miseria più nera. Era scappato cercando fortuna oltre oceano, oltre i bianchi padiglioni di Ellis Island. Nel suoi sogni di bambino c’era la speranza di un futuro migliore, c’erano la fuga e il viaggio, le navi cariche di immigrati e la ricerca affannosa di un lavoro buono per sopravvivere. Ehrich Weisz giungeva dal cuore dell’Europa, da un’Ungheria non ancora ferita ma già imprigionata dalle ombre di una profonda crisi. Capì subito di doversi adattare a quel nuovo mondo. Cambiò così nome e abitudini. A non cambiare, però, furono le condizioni di vita, che anzi si fecero sempre più dure e incerte. I lavori erano pesantissimi, i compensi assolutamente da fame. Temette il peggio, temette di non realizzare i suoi sogni.

Un’idea bislacca

Ma, ad un certo punto, nel tumultuoso flusso di espedienti con cui quella sua complicata adolescenza aveva imparato a fare i conti, si presentò un’idea bislacca. Quel qualcosa aveva a che fare con saperi antichi, con le mani, le braccia, la testa e gli occhi. Quel qualcosa aveva a che fare con magie e illusioni. Harry partì così dal nulla, quasi per scherzo, e finì per scalare pareti, per infrangere barriere e valicare limiti sgusciando da catene e riemergendo da gabbie immerse nelle fredde acque di grandi fiumi. Harry mise a frutto quello che aveva a disposizione. Utilizzò il proprio corpo e le proprie attitudini con intelligenza e acume, lavorò su paure ataviche e resistenze e, infine, trovò il proprio posto nella storia. Fu così che Harry, l’ungherese dagli occhi spiritati, divenne autentica leggenda.

Un grande escapista

La magia arrivò qualche anno dopo il suo arrivo in terra americana, quando si lasciò affascinare dal mondo dei saltimbanchi e prestigiatori. Il giovane Harry rimase infatti stregato dall’umanità che frequentava quegli strani raduni. Fece rapidamente conoscenza con un singolare universo popolato da strane anime e domatori svogliati, da acrobati distratti, nani chiacchieroni, donne barbute e uomini forchetta. Quel mondo aveva qualcosa che lo toccava perchè rimaneva in perfetto equilibrio tra realtà e finzione. Iniziò per vezzo e continuò per gioco: alla fine quell’atletico disimpegno divenne una stimata e seria professione. Harry aveva una straordinaria specialità, quella di sfuggire ai vincoli, materiali o spirituali. Rubò lo pseudonimo al grande illusionista Houdin e si inventò un’arte e una vocazione: quella dell’escapista. Grazie a questa straordinaria attitudine rubò il cuore a giovani e donne, politici e uomini d’affari trasformando le sue gesta in autentica leggenda. Divenne conosciuto e popolare, l’unico in grado di sfidare le polizie di mezzo mondo evadendo da ogni trappola, legato, ammanettato, chiuso in una cassa di legno inchiodata, incatenato e gettato in fondo al mare. Houdini giocava pericolosamente con il desiderio umano più antico e profondo, con un’attitudine arcaica e primitiva, quella di entrare e uscire a piacimento dalle dimensioni.

Un filtro per le zone d’ombra

In Harry fuga e sfida animarono ogni impresa, dalla più incredibile a quella più ordinaria. Con lui l’escapologia divenne un modo di concepire l’esistenza, un filtro etico con cui leggere la realtà e le zone d’ombre dell’anima. Ne trasse un codice, una sorta di magica deontologia. Perché lui le cose le faceva sul serio, senza finzione o artifizi. Giocava con le illusioni, ma dalle manette si liberava senza trucchi, grazie alle sue straordinarie capacità atletiche. Ingaggiò così una personale lotta contro le credenze popolari e lo spiritismo da quattro soldi. Perché lui era autentico, un professionista che si presentava al pubblico senza inganni o infingimenti, sfruttando un corpo minuto ma flessibile e muscoloso, teso più di un fascio di nervi. Ne nacquero polemiche e una lunga coda di accuse, sospetti e maldicenze, perché non pochi erano quelli che campavano carpendo invece la fiducia e la buona fede della gente. Houdini non smise mai di  smascherare truffatori e ciarlatani. Per tutto contro, Harry mostrò di apprezzare sempre qualsivoglia fuga dal reale, anche e soprattutto, quelle più letterarie e metaforiche, come quelle raccontata dal cinema o dai libri, di cui divenne appassionato collezionista.

Una magnetica icona cinematografica

Grazie a una fulminante carriera di attore, Houdini si trasformò rapidamente in un’icona mediatica, in un mito della fantasia a cui tutto era concesso e che tutto avrebbe potuto, come leggere nel pensiero o smaterializzarsi, fornendo ispirazione e utili riferimenti alle scorribande misterico-letterarie di Sarah Bernhardt, Sir Arthur Conan Doyle e George Bernard Shaw. Ma le sue mirabolanti imprese erano, in realtà, il frutto sudato di programmazione e allenamento. A tutto questo, Harry aggiungeva un’incredibile e naturale abilità nel forzare e aprire qualsiasi serratura o lucchetto, una solida tecnica contorsionistica, nervi saldi, resistenza al dolore e un innato senso dello spettacolo. Per lunghi decenni Houdini avrebbe affrontato prove incredibili e spericolate. Sopravviverà a tutte le sfide ingaggiate con se stesso e la sorte. Il destino, però, ne disporrà beffardamente. Morirà, infatti, lontano dalle amate scene, in circostanze mai del tutto chiarite, a soli cinquantadue anni, per le conseguenze di una peritonite probabilmemte innescata da un colpo inferto da un collega o da una dose di veleno. La sua arte, però, gli provvide una fuga eterna.