Once in a lifetime: Matthias Sindelar

Il 10 febbraio 1903 nasce a Kozlov, in Moravia, Matthias Sindelar, di professione calciatore. Quella di Matthias è una storia esaltante e crudele fatta di gol e successi, di scelte e responsabilità. E’ una storia esemplare che si snoda lungo il filo interrotto di anni bui e tragici. Quella di Sindelar non racconta solo le tante reti gonfiate, i pali scossi e le straordinarie prodezze balistiche con cui era solito far sognare le tribune. Non racconta solamente le sue magistrali finte, i suoi scatti e quei tiri angolati che facevano girare la testa ai portieri e alle belle donne. Con il dovuto rispetto per l’insondabile metafisica del pallone, la parabola di Matthias Sindelar incrocia qualcosa di ben più importante. La sua storia racconta infatti il rifiuto della violenza e il coraggioso attaccamento a valori e principi non negoziabili. La sua storia è quella di un gesto clamoroso e plateale. Perché Matthias, nel giorno più lungo, decise di sfidare apertamente il potere e la paura finendo per pagare con la vita quel fiero rifiuto.

La leggenda di “Cartavelina”

Sindelar è uno dei più agili e veloci centravanti dell’epoca. Lo chiamano “Cartavelina” tanto è magro ed esile. Ma, a dispetto dei pregiudizi, Matthias sembra nato per dare calci alla palla. Sguscia regolarmente tra le gambe dei difensori lasciandosi alle spalle tacchetti e affanni. Sindelar è uno che gonfia le reti con impressionante continuità. Ama segnare in acrobazia dalle posizioni più incredibili, è rapidissimo nel dribbling ed incontenibile quando ruba qualche centimetro al diretto avversario. Chi lo affronta soffre, si dispera e nulla può se non metterlo al tappeto. Gli unici avversari che teme sono gli infortuni che rischiano infatti di troncare sul nascere la sua promettente carriera. Sindelar è la punta di diamante dell’Austria Vienna e del “Wunderteam” di Hugo Meisl. La Nazionale austriaca conosce in quei decenni la sua stagione più memorabile mettendo in riga, a suon di gol, tutte le altre squadre. In quei primi anni Trenta i “bianchi” infilano un prodigioso filotto di ben quattordici risultati utili giocando un calcio veloce e redditizio. Battono sonoramente tutte le dirette concorrenti e conquistano la seconda edizione della Coppa Internazionale, il massimo trofeo continentale. Sindelar è la punta di diamante del “Wunderteam” e sembra avviato a diventare un assoluto protagonista del Campionato del Mondo ormai alle porte. Ma purtroppo la storia, quella con la esse maiuscola, tragica e dolorosa, cambia le carte in tavola. Sabato 12 marzo 1938 la Germania nazista rompe gli indugi e invade l’Austria annettendola al Terzo Reich. Sono le prime prove generali per la blitzkrieg che infiammerà tutta l’Europa. Per i cittadini austriaci è l’inizio della fine.

Una tragica celebrazione

Per dare una parvenza di legalità all’Anschluss, Hitler mette in moto gli apparati della comunicazione. Viene così rapidamente indetto una specie di referendum con l’obiettivo di ottenere una piena legittimazione popolare. Per celebrare degnamente l’avvenimento, i vertici nazisti organizzano un incontro di calcio tra la nazionale tedesca e quella austriaca. Sarebbe stato un salutare bagno di folla, un tripudio di bandiere tedesche e di gol. Quella del 3 aprile 1938 sarà l’ultima partita del “Wunderteam” austriaco, i cui campioni dovranno obbligatoriamente confluire nella squadra tedesca giusto in tempo per partecipare agli imminenti Mondiali di Parigi. Al “Prater”, davanti ad un impressionante muro di folla, è partita vera. La squadra allenata da Meisl scende in campo per cercare di tenere lontana, almeno per quegli ultimi novanta minuti, l’ombra di un amaro epilogo. Le squadre si fronteggiano a viso aperto ma sono le arcigne difese ad avere la meglio. Poi, al minuto diciassette del secondo tempo, l’equilibrio improvvisamente si spezza. Sindelar ruba il tempo ai difensori tedeschi ed esibisce un velenoso fendente che trafigge Jakob. Passano solo pochi minuti e l’Austria raddoppia. E’ il fraterno amico di Matthias, il terzino Karl Sesta “Schasti”, a sparare un pallone in rete da oltre cinquanta metri. L’Austria, per l’occasione in maglia rossa come fosse in trasferta, sconfigge la Germania per 2-0 in un tripudio di lacrime e gioia. Ma lo spettacolo non finisce lì. L’efficiente macchina della propaganda nazista ha programmato nei minimi particolari la cerimonia simbolica dell’Anschlusspiel e così, al fischio finale, i calciatori sono tutti obbligati a schierarsi al centro del campo per rendere onore ai veri vincitori. E’ una circostanza umiliante, è un segno di arroganza e potenza. I calciatori dovranno mettersi sull’attenti e salutare le autorità tedesche presenti in tribuna. Al segnale convenuto le braccia dei giocatori si alzano tese e dritte al cielo. Non tutte però. All’appello mancano infatti quelle di Sindelar e Sesta, gli autori dei gol. Il loro braccio destro non si alza ma rimane disteso e impassibile lungo il fianco. Il loro sguardo, fiero e sereno, cerca quello irritato di Von Tschammer und Osten, il comandante tedesco. Il pubblico austriaco applaude a scena aperta. L’ira dei gerarchi è notevole.

Un simbolo della lotta al nazismo

Herberger, l’allenatore tedesco, convoca i migliori giocatori per il prossimo mondiale francese, Nel novero ci sono anche i nomi di Matthias e “Schasti”. Piovono pressioni e velate minacce, ma i due fuoriclasse tengono duro. Anzi, accade pure che Matthias annunci polemicamente il proprio ritiro dal calcio. Goebbels manda messaggi poco rassicuranti, la Gestapo li convoca. Alla fine obbligano Sindelar a partire per la Francia. Matthias però si rifiuta di scendere in campo. Quella non è la sua maglia, quelli non sono i suoi colori. Sindelar non giocherà nemmeno una partita. La Germania viene così eliminata dalla Svizzera di Karl Rappan tra polemiche e minacce. Sulla squadra di Herberger si scatena l’ira di Goebbels. L’impassibile Sindelar decide comunque di andare ad assistere alla finale di Parigi con la sua ragazza, l’italiana Camilla Castagnola. Al suo ingresso in tribuna centrale, il pubblico francese si alza in piedi e intona la Marsigliese. Il tempo si ferma. Sono attimi interminabili di autentica commozione. Poi, la partita ha inizio e la storia riprende il suo tragico corso. Matthias diventa un vero e proprio simbolo della lotta al regime nazista. Anche per questo, nonostante i pressanti inviti e gli scongiuri di amici e conoscenti, decide di non fuggire ma di rientrare nel suo paese. Qualche mese più tardi, il 23 gennaio 1939 il suo corpo e quello di sua moglie verranno ritrovati nel suo appartamento. La Gestapo racconterà una morte accidentale dovuta ad una fuga di gas e la cosa verrà rapidamente insabbiata. Il giorno dei loro funerali, nonostante timori e paure, Vienna si blocca. L’Austria intera si raduna per piangere il suo figlio più celebre e, con esso, la perdita della libertà. Sindelar entra così direttamente nella storia non solo per i suoi eleganti e agili gol ma, anche e soprattutto, per il coraggio di non essere mai sceso a patti con l’arroganza del potere, con la violenza, la prepotenza e la paura. Al di là del suo indiscutibile talento, è proprio questo suo straordinario coraggio a collocarlo tra i più grandi calciatori di sempre.