Once in a lifetime: Bob Paisley

Il 23 gennaio 1919 nasce a Hetton-le-Hole, piccolo centro del Tyne And Wear, Robert Paisley, di professione calciatore, dirigente e allenatore. Il mondo di Bob era un mondo di sudore e impegno, di miniere e cantieri, di fatica e lavoro, di contrasti e duri tackles. Sia che fosse vissuto dal fango dell’area di rigore o che venisse respirato nella fredda umidità di una panchina a bordo campo, il suo era un calcio semplice ed elementare, dove l’importante era imparare a recuperare palla per cercare subito il compagno e la profondità. Perchè il suo calcio era un calcio collettivo e di gruppo, arrembante e offensivo dove tutti lavoravano per gli altri, sulla velocità e sull’anticipo, su appoggi brevi e precisi, sulla pressione e sulle ripartenze. Perchè la chiave di quel calcio era l’interdizione e il primo rapido passaggio. Perchè quello era proprio il calcio giocato dai Reds di Bill Shankly, di cui Bob viene incaricato di raccogliere l’eredità, sedendosi al suo posto in panchina, all’indomani delle improvvise e repentine dimissioni dell’estate del 1974. Ma Paisley, rispetto a Shanks, è un eroe schivo e riluttante, un allenatore suo malgrado, uno di quelli a cui piace lavorare sul campo di allenamento, giorno per giorno, lontano da facili entusiasmi e da clamori mediatici, un sergente di ferro tutto impegno e disciplina. Il suo Liverpool è quello della migliore stagione: una squadra fisica e di carattere, tecnica e dalla mentalità vincente che conquisterà titoli e coppe a raffica facendo sognare mezzo mondo. Malgrado un’impronta decisamente burbera e decisa, Bob si dimostra all’altezza della sfida e proietta la squadra nella più autorevole dimensione internazionale. Quel Liverpool della metà degli anni settanta è quello dei record, delle tre Coppe Campioni, dei sei titoli nazionali, quello degli eurogol di Case e McDermott. In otto delle nove stagioni che trascorre in panchina ad Anfield Paisley porta a casa almeno un trofeo, rimodellando ogni anno la squadra con l’inserimento di grandi campioni e giovane promesse, da Dalglish a Rush passando per Souness, Lawrenson e Johnson. La sua vera specialità era trovare nei calciatori che allenava le corde giuste da tendere. Bob sapeva tenere la giusta distanza, lavorando sulla tensione e sulle motivazioni più profonde, perchè non si accontentava mai dei risultati raggiunti e chiedeva sempre lo stesso impegno e intensità. Perchè Paisley guardava sempre oltre, alla partita dopo e al futuro. Negli spogliatoi, all’inizio di ogni stagione, era solito infilare in una scatola tutte le medaglie vinte chiedendo ai suoi giocatori di prenderne pure una, ma solo se pensavano di essersela davvero meritata. Ovviamente la scatola rimaneva sempre piena. Era la sua mentalità, la stessa che ha fatto grande i Reds e che oggi, a distanza di anni e nonostante tempi difficili, continua in qualche modo a far parte del codice genetico della società.