Once in a lifetime: Bobby Fischer

Il 17 gennaio 2008 muore a Reykjavík, in Islanda, Robert James Fischer, di professione scacchista. In una lontana epoca di tarda guerra fredda quella di Bobby Fischer e del suo infinito incontro con Boris Spasskij divennero icone molto frequentate, un po’ come lo Shuttle, “Mork & Mindy”, “The Day After” o Dan Peterson e le stelle del suo basket nella striscia televisiva del sabato pomeriggio. Perchè Fischer era il fenomeno assoluto, il genio, l’intelligenza, la lucidità tattica e quell’incontro per il titolo, che durò per ben cinquantacinque giorni dell’estate del 1972, divenne uno straordinario evento mediatico in tutto il mondo, come le Olimpiadi o lo sbarco sulla luna, con tanto di telecronaca diretta anche sulla Rai con un giovane Pizzul ai microfoni. In quel mondo la potenza si misurava sui muscoli, sulle testate nucleari, sui missili Cruiser ma anche sul basket o gli scacchi. Quella sua vittoria sul russo Spasskij al meglio delle ventuno partite divenne una vittoria di tutti gli Stati Uniti sul “regno del male”. Ma quel successo fu in realtà tutto di Bobby, ossessionato e disadattato talento della scacchiera, preda permanente di paranoie, sospetti e un vastissimo catalogo di stramberie, dalle sedie da smontare alla pretesa di giocare a porte chiuse, da strane teorie complottistiche meta-aliene a sospetti di avvelenamento sino ad una lista di “42 condizioni irrinunciabili”, tra cui la modifica delle regole di base e degli scacchi medesimi, che compromisero del tutto il già fragile favore delle federazioni e la considerazione generale del suo pubblico. Per questo motivo Fischer perse il titolo in favore di Karpov tre anni dopo senza nemmeno sedersi al tavolo di gioco. Fischer, la sua paura di perdere e la sindrome di Asperger scomparvero per vent’anni, sino al 1992, quando tornò a giocare con Spasskij “la rivincita del XX secolo”. Ancora una volta Bobby sfidò le federazioni e il governo statunitense, giocando la partita nella ex-Jugoslavia, ignorando così le ferme richieste del suo Paese e, soprattutto, violando il rigidissimo embargo dell’Onu. Vincerà ancora, ma il tutto sembrerà una triste parodia. Dopo alcune polemiche dichiarazioni pubbliche, Fischer non potè più rientrare negli USA e cominciò a girovagare per molti anni in Oriente, fino al clamoroso arresto avvenuto in Giappone nel 2004. Solo la concessione dell’asilo politico da parte dell’Islanda lo salverà da una lunga detenzione. Fischer era davvero una persona controversa, discussa, problematica e del tutto fuori dal comune. E, per giunta, era anche un fottuto e incredibile visionario, uno che faticava a tenere a bada il futuro. Aveva una memoria eccezionale con cui ricordava mosse e contromosse di interi match, arrivando anche a ripetere interi discorsi in lingue sconosciute solo sulla base di fonemi e assonanze. Fisher abitava realmente un’altra dimensione, perchè la sua esistenza era diventata un’eterna partita contro sè stesso e i suoi voraci demoni, contro la logica e la prevedibilità. Dopo Bobby nulla fu più come prima: stravolse tattiche, brevettò varianti di gioco, inventò nuovi pezzi e diede spesso un nobile contenuto alla parola follia. Scrisse di lui Paolo Maurensig: “Nella storia degli scacchi, sicuramente non c’è stato campione più detestato e al contempo amato di Bobby Fischer. Detestato dai suoi avversari, che a stento sopportavano i suoi capricci, amato dagli appassionati del gioco per le sue pirotecniche partite.”