Once in a lifetime: Felice Casorati

Il 1 marzo 1963 muore a Torino Felice Casorati, pittore per destino, passione e professione. Felice arrivò alla tela per sfuggire all’abbraccio di una malattia sottile e inquieta. La sua passionale vocazione per la pittura fu infatti conseguenza di un esaurimento nervoso potente e silenzioso che lo aveva prostrato rendendolo schiavo dei suoi intensi studi musicali. Grazie alla pittura, in quei primissimi anni del novecento, Casorati aveva ripreso contatto con il suo mondo, con sè stesso e la realtà che lo circondava. La pittura gli salvò la vita, gliela cambiò, forse anche gliela stravolse, facendogli apprezzare lati e riflessi ben nascosti del suo carattere. Felice rimase sempre legato a quei suoi primi acerbi esperimenti e, al di la delle successive sfumature e desinenze stilistiche, vi consacrò ogni umore creativo e la sua intera esistenza. Quella primigenia forza espressiva ha, infatti, plasmato tutte le sue opere, anche quelle più distanti e mature, ne ha segnato la potenza dei tratti, il realismo fotografico, l’impatto cromatico delle pennellate. Perchè quel suo modo di dipingere era probabilmente l’esatta trasposizione del carattere con cui aveva imparato a prendere la vita. Perchè Casorati, nonostante una serie di traiettorie apparentemente in linea con le correnti che agitavano il primo Novecento italiano, rimase un capitolo a parte, una voce “fuori dal coro”, inseguendo in solitudine il filo del sentire e delle emozioni e ricorrendo spesso a coraggiose virate stilistiche, per cercare nuovo ossigeno e una nuova feconda ispirazione. Con questo spirito, Felice attraversò tutte le tensioni di quegli anni trattenendone spunti e atmosfere. Casorati aveva governato le spinte veloci verso la sperimentazione e l’avanguardia, aveva condiviso quel loro furore iconoclasta, ne aveva assaggiato l’eversiva irrazionalità, ma poi si era lasciato facilmente blandire dalle sinuose e urgenti esigenze di un ritorno ad un’arte dalle forme più classiche e tradizionali, di un percorso pittorico che, dopo lo sgomento della novità e del moderno, cercava rifugio tra i valori di un perimetro antico fatto di riflessione, calma, equilibrio e sobrietà. E, alla fine, proprio scavando tra quelle trame, Felice aveva trovato la sua vera strada, il suo modo di raccontare e descrivere il quotidiano. In quel suo magico realismo Casorati riscopre le armonie delle forme, le simmetrica partizione degli spazi, le proporzioni ed i volumi, la pulizia e la complessiva sobrietà dei tratti. Felice riprende e rielabora da par suo il quattrocento italiano, lo riporta alla luce e alla luce lascia ampi spazi rendendola libera di farsi descrittiva, limpida, tagliente e, a tratti, inquietante. Di questa sua instabile e brillante originalità parlano ancora oggi le sue migliori opere che, nonostante la naturalezza delle pose e dei soggetti, malgrado il ricorso a colori decisi e volitivi, trasudano desolazione, abbandono e ermetica solitudine. E, con l’andare degli anni, quei soggetti e quel suo straordinario apparato visionario, quel suo tratto semplice e deciso si sono sempre più idealmente trasfigurati sino a popolare un ambiente altro e metafisico, perfetto punto di contatto tra tradizione e modernità, tensione ideale e pragmatismo, regalando al futuro un’enigmatica e affascinante rappresentazione del vuoto e banale quotidiano.