Once in a lifetime: Leônidas da Silva

Il 24 gennaio 2004 si spegne a Cotia Leônidas da Silva, di professione calciatore. Con un nome così poteva già ben dire di essere un predestinato. Perchè il giovane Leonidas pur non avendo un fisico propriamente da guerriero con la palla se la cavava davvero bene, sia quando doveva palleggiare con le mani sia quando lo doveva fare con i piedi. Ancora per tutti i primi decenni del Novecento, sport come il basket e il calcio rimanevano discipline giovani e acerbe. Ambedue erano spesso appannaggio di pochi fortunati, di una ristretta oligarchia di gente agiata, in forma e con una buona rendita, che non doveva lavorare per sopravvivere e che poteva quindi permettersi di sprecare tempo e energie per rincorrere un pallone. Ma gli anni trenta cominciano a fare del calcio un linguaggio condiviso e diffuso trasformandolo in uno straordinario strumento identitario dalla marcata inclusività sociale. Leonidas cresce sulle spiagge di São Cristovão, a Rio. Impara a cavarsela con la palla nelle strade del suo quartiere e milita egregiamente nelle prime squadre giovanili, ma in realtà non sa scegliere tra le mani o i piedi. Sarà il destino a farlo, perchè gli emissari del Bonsucesso lo strappano alla concorrenza con un’offerta da capogiro a cui Leonidas non può resistere: ben due abiti nuovi di zecca e altrettante paia di scarpe e guanti. E’ l’atteso segnale: il giovane da Silva abbandona il basket e si dedica ad una carriera folgorante. Grazie alle sue straordinarie prodezze, il «Diamante Negro» si guadagna rapidamente la convocazione nella Seleção. Leonidas fa il suo esordio in nazionale a soli 19 anni contro l’Uruguay, scatenando gli appetiti di tutti i maggiori club del continente, dal mitico Penarol di Montevideo al Vasco Da Gama, dal Botafogo al Flamengo sino al San Paolo, tra le cui fila concluderà la propria attività. Leonidas era un attaccante leggero e creativo, morbido ed elegante, un goleador di razza che eccelleva in atletismo e doti acrobatiche. Fu proprio dalla straordinaria sintesi di tecnica funambolica e prestanza fisica che nacque il suo marchio di fabbrica, la sua più alta cifra stilistica, un gesto che diventerà immediatamente leggenda, “a bicicleta”, la “chilena”, ovvero la rovesciata, un pezzo di poesia calcistica. Narrano infatti le centurie che fu proprio Leonidas a mostrare per primo al mondo il prodigio, il modo più bello e eclatante di infilare una sfera alle spalle di un portiere. Accadde il 24 aprile del 1932, durante un Bonsucesso – Carioca terminata cinque a due per i padroni di casa. Su un invitante spiovente calato dalla sinistra Leonidas, preso in controtempo, spalle alla porta, si alzò in volo di schiena rilasciando le gambe in una rapida sforbiciata che spedì il pallone nell’angolo più lontano della porta. La palla riempì il sacco sotto gli occhi di uno sbigottito portiere e il mondo non fu più lo stesso. Tutta la sua carriera fu costellata da episodi leggendari e imprese incredibili, come quando, durante un Brasile-Polonia ai Mondiali del 1938 che si disputava al “Meinau” di Strasburgo sotto il diluvio e in trenta centimetri di fango, si levò le scarpe siglando poi la rete decisiva. Ecco perchè, a distanza di quasi cento anni dalle sue imprese, Leonidas continua a rappresentare il lato più spettacolare e artistico della passione del nostro tempo. “I goal di Leônidas erano talmente belli che persino il portiere avversario si rialzava per congratularsi” (Eduardo Galeano).