Once in a lifetime: Luigi Radice

Il 15 gennaio 1935 nasce a Cesano Maderno Luigi Radice, di professione giocatore e allenatore di calcio. In panchina, come in campo, Gigi era un duro, uno che non conosceva compromessi, uno che lavorava per il gruppo, uno che non mollava di fronte a fatica e sacrificio, uno che quando c’era un problema lo affrontava di petto, guardandolo fisso negli negli occhi, senza piegarsi mai. Radice era fatto così, sin da ragazzino quando vestiva la maglia rossonera delle giovanili, quando si avviava ad una sicura carriera. E di strada ne avrebbe fatta tanta, almeno pari ai chilometri che macinava su e giù dalla fascia laterale nel Milan di Rocco, se un avvelenato tackle del sampdoriano Cucchiaroni non gli avesse rubato il ginocchio e il futuro. La sua carriera di veloce terzino fluidificante purtroppo terminò prematuramente così, nel dolore e nel rimpianto. Era solo il 1963, non aveva nemmeno trent’anni e con il calcio aveva già chiuso. Aveva lasciato mestamente l’ambiente per fare l’assicuratore, per vendicarsi del futuro in doppiopetto e dietro una scrivania. Ma poi il destino gli aveva offerto una seconda chance e lui, il duro, il sergente di ferro, non si era fatto pregare accomodandosi in panchina a dirigere il Monza, squadra a cui seguirono molte altre, con la sua fama di “tedesco” che cresceva di stagione un stagione, di risultato in risultato, sino a quando la sua traiettoria non incrociò quella del magico Torino di Orfeo Pianelli, la cui panchina aveva sin lì avuto l’onore di ospitare la crema del gioco all’italiana, dal Paron a Edmondo Fabbri passando per Cadè a Gustavo Giagnoni. Fu amore a prima vista. Radix a Torino fa sfracelli. Fa giocare quella squadra di giovani talenti a tutto campo, fisicamente, coniugando alla perfezione il “pressing” olandese di Michels con una grande attenzione per la fase difensiva e con una spregiudicata ossessione per il fuorigioco. Il suo fu un calcio avveniristico e moderno, che faceva innamorare le curve e le tribune. Vinse con i granata uno storico scudetto e, per diversi anni, mantenne saldamente il Toro nelle prime posizioni del campionato, facendo del derby della Mole contro la Juve dell’ex compagno Trapattoni il secondo d’Italia, dopo ovviamente quello di Milano. Poi sul più bello il destino gli chiese nuovamente di passare a regolare i conti e un gravissimo incidente d’auto nel 1979, dove perse la vita l’amico e collaboratore Barison, lo tenne per mesi in bilico tra la vita e la morte. Ma Radice vinse anche quella sfida e tornò ad allenare e a vincere, alla sua maniera. Bologna, Inter, Milan, Fiorentina, Roma, Cagliari: sempre a muso duro, sempre in mezzo a scontri frontali con presidenti e giocatori, tra esoneri, litigi, mormorii e qualche liaison dangereuse di troppo. Quel suo mondo oggi pare averlo dimenticato, proprio adesso che ha ingaggiato una silenziosa battaglia contro l’alzheimer. E’ davvero un peccato che Gigi abbia perso la memoria dei suoi tanti successi e di quella straordinaria epopea. Anche per questo, o anche solo per una questione di giustizia e equità, credo sia importante preservare e custodire i ricordi di quelle stagioni, di quelle brillanti e innovative intuizioni e, soprattutto, della grande lezione d’umanità di un allenatore che, seppur ruvidamente, metteva sempre la squadra e il collettivo davanti ad ogni cosa, spesso e volentieri anche alle sue stesse pretese.