Once in a lifetime: Tony Wilson

Il 20 febbraio 1950 nasce a Salford, nei dintorni di Manchester, Anthony Howard Wilson, di professione discografico, manager, produttore e agitatore culturale. Tony era davvero una forza della natura, uno con un sacco di strane idee per la testa animato dalla pretesa e dal temerario coraggio di realizzarle andando sino in fondo a dispetto dei denari, del gusto del pubblico e del loro potenziale consenso. Perché Tony viveva delle sue idee e delle sue intuizioni senza mai curarsi troppo di renderle facili e digeribili. Tony aveva il passo e la tensione dell’esploratore, del giovane alchimista sempre a caccia della formula perfetta o, forse piuttosto, del piccolo chimico. Come quando si inventò di esportare la musica in terra straniera, portando i suoni alternativi di Iggy Pop, dei Buzzcocks e dei Pistols sugli schermi della televisione, a Granada Television, in un innovativo programma come “So It Goes” che rivoluzionò il linguaggio anticipando di quindici anni la deriva del postmoderno, il frammentarsi delle subculture giovanili, i clip e le contaminazioni di genere. O come quando generò la balzana e straordinaria idea di un’etichetta discografica agile e indipendente, retta da nuove radicali regole, fatta da artisti per gli artisti, all’insegna del “do-it-yourself”, squattrinata ma ostinatamente sempre alla ricerca del “bello”. Con la Factory e con quel suo spirito pionieristico d’avanguardia, Wilson cambiò faccia alla musica e, soprattutto, alla promettente scena di Manchester. Wilson spalancò le finestre facendovi entrare una ventata di ossigeno, dando credibilità e spazio ad artisti inquieti e nervosi, seguendone l’inesorabile crescita sino a trasformarli in puro stile ed in un modo di vivere e interpretare l’esistenza. Lui, l’incredibile pazzo di Martin Hannett e un designer visionario del calibro di Peter Saville crearono il futuro, battezzando un suono e un immagine oltre ad una manciata di incredibili idee e ad alcune delle più autorevoli band del post-punk e della new wave. La Factory produceva musica senza badare troppo ai bilanci ed alle necessità commerciali, lasciandosi irretire da idee sempre più straordinariamente bislacche e dando prova di una crescente, brillante e poetica incapacità gestionale. Come quando il team creativo approntò per il pluripremiato e plurivenduto singolo dei New Order “Blue Monday” una copertina che, oltre ad essere una sensazionale opera d’arte contemporanea, conquistò anche il record del packaging più costoso. Pare infatti facesse perdere all’etichetta cinque penny ad ogni copia venduta, risultando un’operazione talmente disastrosa a livello economico da portare allegramente l’intera baracca al fallimento. Wilson era fatto così. Se era convinto di una cosa non si fermava di fronte a niente, non scendeva a patti nè negoziava. Piuttosto ci rimetteva, senza scoraggiarsi, sempre pronto a coltivare la prossima folle idea. Per questo, stagione dopo stagione, rimase saldamente al centro del vortice creativo. Così, dopo aver contribuito a diffondere nel mondo la trama fine del lessico decadente del post punk, era poi invece diventato, nel volgere di qualche anno, l’ispiratore e il padre putativo delle acide scorribande degli Happy Mondays, il carismatico cerimoniere della “Summer of Love” dei rave party, il genio senza scrupoli dell’Hacienda che aveva introdotto la generazione di Madchester agli eccessi, alla sperimentazione e alla contaminazione tra ritmo e divertimento. Tony scompare nel 2007. Alla sua bara è stato riservato l’onore dell’ultimo numero di catalogo della Factory, il FAC 501.