Once in a lifetime: Valentino Mazzola

Il 26 gennaio 1919 nasce a Cassano d’Adda, nel popolare quartiere Riceto, Valentino Mazzola, calciatore di futura professione. Gli anni in cui Mazzola cresce sono anni umili e difficili, di miseria e drammi familiari, di guerra e stenti. In quegli anni il professionismo non esiste ancora e se vuoi tirar calci a un pallone un lavoro decente ce lo devi avere. Valentino comincia a lavorare prestissimo: per l’improvvisa scomparsa del padre deve infatti abbandonare la scuola e va a fare il garzone da un fornaio. Per certi versi è la sua fortuna perchè così si può permettere lo svago del calcio, perchè così può dilettare le tribune giocando con la Tresoldi e la squadra aziendale dell’Alfa Romeo, dove viene assunto come meccanico. Ma il servizio militare lo porta a imbarcarsi sulle navi da guerra in quel di Venezia e proprio lì, in laguna, il destino vuole che inizi la sua vera carriera nel calcio che conta, quello della Serie A. Dal Venezia dei miracoli verrà poi acquistato, con l’amico Loik, dal presidente Novo, già intento a allestire il Grande Torino. I sette anni che trascorrerà in Piemonte saranno straordinari per gioco e intensità, reti e presenze. In quei campionati di guerra il Torino Fiat detta legge anche se sfiora solo il titolo, vinto invece dai Vigili del Fuoco La Spezia. La sua consacrazione avviene nel 1945, al termine del conflitto, con la ripresa dei massimi tornei, del Campionato Alta Italia, prima, e del Campionato Nazionale, poi. A Torino arrivano altri straordinari fuoriclasse come Valerio Bacigalupo, Mario Rigamonti, Aldo Ballarin ed Eusebio Castigliano e quella squadra diventa davvero imbattibile, uno squadrone che gioca a tutto campo alternando momenti di gestione del gioco con attimi di furente spirito agonistico grazie ai quali risolve tutti i match più difficili. Nasce ufficialmente il temuto “quarto d’ora granata”. Di tutto questo, di quella inarrestabile macchina da gol e soprattutto del suo spirito battagliero Valentino è il primo interprete nonchè l’assoluto protagonista. Mazzola è l’uomo ovunque del Grande Torino: è un combattente, bravo a contrastare, a rubare palla e a impostare il gioco, a dirigere sapientemente i cambi di ritmo e a innescare le punte sino anche a concludere con impressionante regolarità. Valentino ha due piedi d’oro con cui calcia forte e preciso, sa saltare l’avversario in velocità, ha imparato a utilizzare la fantasia nella sua personale visione di gioco, ha grande tecnica e potenza fisica, è un regista, un mediano, una mezzala e un attaccante, e, soprattutto, è impossibile da marcare. Insomma, Valentino Mazzola è la quint’essenza del calcio moderno ed ha pure un signor carattere, perchè non molla mai, gioca sempre sino al 95esimo, richiama all’ordine i ragazzi e non tollera l’indisciplina. Chissà dove sarebbe arrivato se quella maledetta nebbia sopra Torino non lo avesse inghiottito per sempre con i suoi compagni di squadra il pomeriggio del 4 maggio 1949 tornando in aereo da Lisbona, dove aveva salutato il ritiro dall’attività dell’amico e capitano portoghese Francisco Ferreira. Chissà, se come si sussurrava nel giro, sarebbe davvero passato all’Internazionale, chissà cosa avrebbe fatto ai Mondiali, chissà se avrebbe continuato a vendere i suoi famosi palloni fatti a mano, chissà. Un pezzo rilevante della storia del calcio italiano scompare nella tragedia di Superga e a noi non resta altro che immaginare come sarebbe potuta continuare la sua incredibile storia. “Devo dire che considero il calcio un gioco molto semplice, in cui si puo’ vincere se non si gioca sempre nel medesimo modo. Si possono aggiungere delle varianti per dare piu’ dinamismo. Si puo’ anche improvvisare fuori dalle basi classiche. Sono dell’opinione che il calcio moderno deve avere la caratteristica vincente del gioco di squadra. Correre molto e arrivare a mezzo cammino non sempre e’ utile. E’ meglio correre meno, portare via piu’ tempo agli avversari e arrivare con piu’ precisione sulla palla. Questa per me e’ la vera rapidita’.”