Once in a lifetime: Pippo Marchioro

Il 13 marzo 1936 nasce a Milano Giuseppe Marchioro, di professione calciatore e allenatore. Non è vero che la fortuna aiuta sempre gli audaci. Delle volte, si sa, è vero invece l’esatto contrario. La “mala suerte” è spesso diventata padrona del destino di tanti piccoli grandi innovatori, di chi ha avuto per primo l’idea buona, rivelatasi così troppo buona, acerba o avventata per essere riconosciuta e infine apprezzata. E’ proprio questo il caso di Pippo Marchioro, che, dopo una dignitosa carriera da calciatore, durante la quale rimbalzò senza troppi clamori tra la cadetteria e le serie minori, finì per sedersi ai lati del terreno di gioco per iniziare una brillante carriera da allenatore ricca di soddisfazioni, grandi intuizioni ma anche con risultati purtroppo inferiori alle attese e alle aspettative. Eppure Pippo aprì davvero una strada insegnando ai suoi giocatori e a quell’Italia un calcio che poi divenne vincente e applaudito per tutto il decennio successivo. Perché dopo gli esordi sulla panchina del Monza a fare da terzo alla giovane coppia dei miracoli, composta da Liedholm e Radice, arrivarono stagioni intense e i primi riconoscimenti assoluti, come la Coppa Italia semipro e un filotto di esaltanti promozioni con Verbania, Alessandria e Como prima di entrare negli annali conducendo il piccolo e coriaceo Cesena al sesto posto della classifica finale del campionato di Serie A 1975-76, quello dello storico scudetto del Toro dell’amico Radice, sino al cospetto del grande calcio europeo della Coppa Uefa. Furono proprio questi risultati ad aprirgli le porte della grande squadra, del Milan, che lo chiama a risollevare l’umore generale nella successiva stagione 1976-77. Pippo ha annusato e studiato da tempo il football veloce che viene giocato fuori dai nostri confini. E’ affascinato da quelle squadre del nord che frequentano un calcio d’attacco, che giocano rapide e vicine, occupando gli spazi, pressando altissime gli avversari e muovendosi coese lungo direttrici verticali come fossero un devastante pacchetto di mischia rugbistico. Marchioro non si lascia intimidire dal grande club e anche a Milano ripropone, senza mediazione alcuna, il suo gioco a zona. Ma per passare dalla tradizionale marcatura a uomo e dal rodato catenaccio alla modernità serve testa, lucidità, grande sincronia tra i reparti e soprattutto velocità, preparazione atletica e sacrificio. Pippo non fa fino in fondo i conti con un mercato estivo incerto e, soprattutto, con un ambiente impreparato e mica tanto disponibile a cambiamenti così radicali. In particolare lo spogliatoio e i grandi leader di quella squadra, primo tra tutti il Golden Boy Rivera, faticano ad adattarsi al suo credo, a quella vertigine di football. Pippo si sgola, accorcia la squadra in soli venticinque metri, predica serenità, concentrazione e costanza ma i risultati non lo premiano anche per una serie di sfortunate coincidenze, per manciate di gol immeritati presi all’ultimo secondo e per una cascata di infortuni che decimano la squadra titolare. Il suo Milan naviga in posizioni di rincalzo e Marchioro viene esonerato dopo sole quindici giornate. La rivoluzione tattica viene quindi repressa in favore della grande restaurazione con il ritorno del grande e affidabile Paron Rocco in panchina. Peccato. Forse i tempi non sono maturi, ma chissà cosa avrà pensato Pippo quando il Milan qualche anno dopo, alla metà degli anni ottanta, diventerà stellare e mondiale con la sua stessa zona, quella che aveva urlato a Milanello sino alla noia, diventata adesso di gran moda nell’indovinato universo tattico di Sacchi e dei suoi olandesi volanti. Ma Marchioro non molla. Viene da una scuola di ferro e la sua tenacia è pari solo al grande senso di responsabilità con cui si assume il peso delle vittorie e, anche e soprattutto, delle amare sconfitte. Torna a sedersi subito sulla panchina del Cesena ma deve conoscere anche l’onta retrocessione prima di tornare a mietere successi e promozioni a raffica con Como, Barletta e con la Reggiana. Il suo calcio rimane ancora oggi un brillante esempio di dinamismo e sagacia, di intelligenza tattica e lucida visione d’insieme. Gli mancò certamente la fortuna, forse anche un pizzico di scaltrezza e cauta diplomazia. Ciò nonostante Marchioro rimane uno degli allenatori più abili, coraggiosi e innovatori che il calcio italiano di quegli anni ricordi ancora oggi.