Once in a lifetime: Ruud Krol

Il 24 marzo 1949 nasce ad Amsterdam Rudolf Jozef Krol, di professione calciatore e allenatore. In anni ormai lontani il calcio occupava ogni singolo spazio delle nostre giovani vite. Quel calcio adolescente, che si nutriva di aneddoti e vanterie di strada, ci portava lontano, consegnandoci spesso alla magia esotica e sgranata di un bianco e nero televisivo che raccontava in differita piccoli frammenti di partite, stadi incantati e umide notti europee. La mia infanzia calcistica finiva così per coincidere con una galleria disomogenea di giocatori, gesti e prodezze balistiche che si rincorrevano lungo le traiettorie di passioni e miti destinati magari a durare solo il breve volgere di un pomeriggio. Ma ogni tanto, per fortuna, capitava che in quel disordinato universo di volti e suggestioni facessero la loro comparsa anche giocatori pronti a raccogliere la sfida del tempo. Come nel caso di Ruud Krol, il mitico capitano dell’Ajax, che rimase per anni un saldo punto di riferimento del mio pianeta calcistico. Perché Ruud, come e più di Scirea e Beckenbauer, interpretava alla perfezione la modernità tattica di un calcio in piena e radicale trasformazione. Perché Ruud era la quint’essenza del calciatore e, soprattutto, perchè Ruud veniva da un paese che, nel giro di qualche anno, era diventato una sorta di terra promessa del football, il luogo dove stavano accadendo le cose più eccitanti e favolose, dove cresceva una nidiata di campioni e dove al calcio si giocava in modo diverso da quello che avevo sin lì imparato. Di quel calcio crescente, mutevole e di passaggio, Krol ne era un assoluto protagonista. Magari non tra i più noti, tra quelli cioè che cominciavano a guadagnare le copertine dei settimanali a suon di eurogol. Perchè Ruud non era un attaccante o una mezzapunta. Ruud giocava libero, ricopriva cioè il mio stesso ruolo ma lo interpretava in maniera assolutamente inedita e creativa. Krol guidava autorevolmente l’intero reparto difensivo dall’alto di un’inconsueta mobilità e di uno straordinario senso della posizione. Era proprio questo che gli faceva guadagnare intuito, visione e, soprattutto, quei mirabili tre passi che gli permettevano di anticipare sempre le trame avversarie impostando da subito il contropiede e, con esso, la manovra offensiva dei Lancieri. I suoi eleganti interventi erano pura poesia tattica, una perfetta sintesi di intelligenza e acume, stile e potenza. Nei dodici anni in cui ha indossato la magica livrea bianca e rossa dell’Ajax, così come pure nella successiva breve parentesi italiana con la maglia azzurra del Napoli, Krol ha fatto sfoggio di un’invidiabile longevità rimanendo sempre un esempio di correttezza, determinazione e impegno e coprendo magistralmente le spalle ad almeno due generazioni di straordinari talenti, da Cruyff, Rep e Neeskens ai promettenti Arnesen, Lerby e Tahamata. La sua principale dote era l’estrema duttilità, perché Ruud riusciva bene in ogni zona del campo. Aveva cominciato a giocare da terzino destro, poi si era spostato a sinistra per evitare sovrapposizioni con Suurbier, ed era quindi finito al centro del reparto difensivo sino, infine, a presidiare creativamente quel fazzoletto d’erba che stava esattamente davanti ai due difensori centrali. Krol non scherzava nemmeno quanto a carattere. Si era conquistato il posto in prima squadra sgomitando e facendosi spazio tra le squadre minori di quartiere. Era un trascinatore, un’icona, un simbolo. Non aveva esitato nemmento quando si era rotto una gamba ed era uscito dal tunnel di Wembley per guidare con le stampelle i suoi compagni alla conquista della Coppa dei Campioni contro il Panathinaikos. Ruud, insomma, era il prototipo ideale del calciatore olandese, il perno su cui girava la fine meccanica del calcio totale di Michels. Perchè, fra tante altre, Krol possedeva un’assoluta e magica qualità: sapeva giocare la palla ben prima di averla a disposizione tra i piedi. Proprio per questo era diventato il regista occulto delle squadre in cui militava, governando magistralmente quella fitta e dinamica ragnatela di passaggi che ubriacava gli avversari senza mai concedere loro nemmeno l’ombra di un riferimento. E proprio per questo la mia giovane e suggestionabile fantasia faticava ad accomunarlo a qualsiasi altro calciatore in circolazione. Perchè, se proprio avessi dovuto accostarlo a qualcuno, l’unico che mi sarebbe venuto in mente sarebbe stato il grande Houdini.