Once in a lifetime: Russell Banks

Il 28 marzo 1940 nasce a Newton, Massachusetts, Russell Banks, di professione scrittore e poeta. Russell non ha mai temuto di fare i conti con la frontiera. Nè con quella porosa e politica che incide le mappe e che divide geograficamente storie, stati, popoli e continenti, nè tantomeno con quella più intima e interiore che insegue l’invisibile e doloroso filo che solca in profondità le nostre quotidiane esistenze. Perchè Russell la frontiera la conosce bene, perchè l’ha attraversata ogni santo giorno della sua vita, a bordo di scassati pick-up di seconda mano, sui vagoni dei treni dei pendolari, al volante dei grandi camion che scivolano lungo le Interstate, nelle anonime camere dei motel di passaggio o nelle speranze deluse della working class americana. Come e più di McCarthy, Banks racconta il margine inferiore del sogno e indaga gli incerti di vite periferiche e decentrate. Lo fa dal cuore delle cose, dal ventre caldo della “terra della libertà”, quella del benessere di carta e della precarietà strutturata. A Russell non servono viaggi ne epopee, ma bastano e avanzano le storie semplici di persone semplici che si ritrovano al cospetto di immani tragedie personali e di quotidiane cadute, che faticano a portare il peso dei rimorsi e delle colpe ma che, ciò nonostante, non si tirano indietro nè si dichiarano sconfitte. I suoi personaggi vivono talmente immersi nel reale che non trovano nemmeno il tempo o il modo per affliggersi, costretti come sono dalle contingenze ad affrontare con coraggio i rovesci del destino. La scrittura di Banks li segue dolcemente e li racconta rimanendo sempre al loro fianco. Il suo registro, solo in apparenza freddo e distaccato, in realtà si affida a chiavi corali investendo sul perfetto incastro di punti di vista spesso diversi e concorrenti o scavando tra le pieghe dei volti che racconta. I suoi libri, ed in particolare “Il dolce domani” con quel suo silenzioso carico dolente, richiamano le pagine indimenticabili della grande letteratura americana. Perché a Banks interessano i perdenti, i losers, i loro pensieri, il loro struggimento, le emozioni come le trame occulte. Il  suo mestiere è quello di indagare l’ambiguità e di esplorare la sottile zona d’ombra che divide la complicata elaborazione del lutto dall’ansia di un’equa riparazione economica. Ecco perché il viaggio in quella comunità segnata da un incredibile dramma privato e collettivo come la tragica perdita dei figli richiama il respiro e l’aura dei grandi classici. Banks li evoca uno ad uno, li convoca solennemente rielaborandoli nel perimetro di una malintesa e controversa contemporaneità, sollecitando riflessioni antiche. Però Banks non va oltre. Si ferma lì, sull’uscio, senza entrare in casa,  senza violare le intime stanze, senza mai stigmatizzare o lasciarsi andare a facili commenti moralistici. Nemmeno nei confronti dei peggiori avvoltoi, degli speculatori o dei responsabili, che rimangono, loro malgrado, al margine della scena, in silenzio, prigionieri del caso o di smisurati sensi di colpa. “Il dolce domani”, da cui Atom Egoyan ha tratto uno dei massimi capolavori cinematografici degli ultimi cinquant’anni,  racconta, al pari di altre pagine come “Tormenta”, “La deriva dei continenti” e “La legge di Bone”, l’animo umano e le sue imprevedibili derive. Sarà per questo suo stile originale e cristallino o forse per il modo rispettoso con cui indaga le zone d’ombra, che i suoi scritti assumono una portata ed un valore di carattere universale. ”Scrivo e racconto le storie dal punto di vista delle persone che soffrono, le vittime, gli oppressi e non le uso per portare avanti idee politiche ma solo perchè questo argomento mi sta a cuore, mi preoccupa e mi offende.”