Once in a lifetime: La Gazzetta dello Sport

Il 3 aprile 1896 esce in edicola il primo numero de “La Gazzetta dello Sport”, il più venduto quotidiano sportivo italiano. In origine esisteva solo il ciclismo. Ecco perchè ambedue i “progenitori” del quotidiano rosa arrivano proprio da lì. Perchè prima de “La Gazzetta” c’erano solo due periodici, simili ma diversi: “Il Ciclista”, diretto da Eliso Rivera, e “La Tripletta”, diretto sempre dal medesimo Rivera ma in coabitazione con Eugenio Camillo Costamagna. Le due pubblicazioni nascono negli stessi anni, gli ultimi del secolo, respirano la stessa stimolante atmosfera e coltivano la medesima intuizione. Rivera e Costamagna sono due navigati trentenni: entrambi hanno alle spalle una robusta gavetta, masticano giornalismo da anni, conoscono tutti i segreti del mestiere compresi quelli che servono per dare un’anima ad una redazione e comprendono, quasi nello stesso momento, che in quel futuro collettivo c’è uno spazio da riempire, perchè in quell’Italia di passaggio non esiste alcun giornale che racconti il ciclismo e le gesta dei campioni. La risposta del pubblico è sobria, discreta e incoraggiante. Ma per fortuna nessuno si sente soddisfatto, e in tutti quei protagonisti cresce la consapevolezza che si possa fare di meglio e di più, raccontando, ad esempio, anche altre discipline. Arriva così l’idea di una pubblicazione che scriva di tutto lo sport, del calcio come dell’atletica, del tennis come del canottaggio, della scherma come della vela. Sotto quell’intuizione si nasconde, in realtà, un pensiero originale e forte. Rivera e Costamagna hanno infatti compreso da tempo che lo sport ha una forte rilevanza sociale, che è un motivo di aggregazione e partecipazione, che è davvero un potente veicolo di trasmissione di valori ed emozioni, una formidabile chiave per interpretare il mondo che sta cambiando aprendosi ormai a nuove e frementi ambizioni. In quel pensiero c’è la modernità, la sfida del futuro, il senso di urgenza e la voglia di cambiamento che comincia a soffiare sul nostro Paese. Perché lo sport non può essere solo materia per atleti o addetti ai lavori, ma anche e soprattutto un potente linguaggio universale, il codice dei sogni dei bambini come degli anziani, degli uomini come delle donne. Rivera e Costamagna decidono di unire le forze scambiandosi le reciproche esperienze. Nasce così un nuovo giornale. L’editore è Sonzogno, che con il suo “Secolo” sta tentando di insidiare la supremazia de “Il Corriere della Sera”, e la nuova redazione, composta da ben cinque giornalisti, si “accampa” nei locali di Via Pasquirolo, alle spalle del Duomo. Il nome non sarà difficile da inventare. Il nuovo giornale si chiamerà “La Gazzetta dello Sport”, sarà stampato a cinque colonne su quattro pagine di carta colore verde chiaro e andrà in edicola il lunedì e il venerdì, in tempo, cioè, per raccontare ciò che è accaduto e quello che accadrà. La prima tiratura è di ventimila copie che finiscono per essere vendute al modico prezzo di cinque centesimi di lire l’una. Un buon incasso per un buon inizio. Passeranno gli anni e cresceranno i cronisti, le discipline sportive, le pagine e le colonne. Cambieranno i tempi e pure il colore di quella carta, passando dal verde degli esordi al giallo paglierino sino al caratteristico rosa intenso. Quella scelta cromatica si rivelerà più che mai indovinata divenendo il vero marchio del giovane giornale. Tra le tante idee editoriali, qualche anno dopo, salterà fuori anche quella di organizzare eventi e manifestazioni sportive di massa, magari pure la prima gara ciclistica a tappe che attraversi l’intera penisola e che attiri, grazie ad un lauto montepremi di 30.000 lire, tutti i più grandi campioni. Quel giornale e la sua rodata formula di raccontare lo sport dal diverso punto di vista dell’atleta e dell’appassionato, giungerà sino ai nostri giorni conoscendo diverse stagioni ed approdando, dalla metà degli anni ottanta, ad una epifania leggera e superficiale. La “rosa” è così diventata negli anni una specie di vetrina sociale, il fedele e contraddittorio specchio del reale, la fotografia, talvolta fuori fuoco, di un mondo sportivo in evidente crisi di idee, ossigeno, intelligenza, identità e valori. Ciò nonostante, pur perdendo per strada buona parte del suo innovativo e primigenio spleen, “La Gazzetta” è rimasta una sorta di inossidabile totem ed una presenza fissa per tutta l’utenza di ogni bar italiano, riempiendo di parole e storie il disimpegno mattutino di generazioni di cittadini. Anche se, a tanta stucchevole ed omologata conservazione, si sarebbero spesso preferito un pò di sano coraggio ed una vena di inconsapevole follia. “Per trattare quindi lo sport bisogna sentirsi in grado di correre coi tempi, prevedere, arrivare. I giornali sportivi non devono soltanto fornire le notizie, commentare il progresso, registrare il successo, no, essi devono predire, correre l’alea stessa di tutte le cose di questo fine di secolo, devono arrivare.”