Tra Castelgrimaldo, Guidizzolo e innocenti uomini d’altri tempi ..

Tra i tanti debiti che mi ero ripromesso di saldare in questi giorni ce n’era uno che attendeva da qualche tempo al varco. E così in una gelida e ventosa mattina pasquale ho rotto ogni indugio e armato di mappe, navigatore e app ho trascinato la consapevole famiglia nella docile pianura mantovana a caccia di una stele commemorativa, il monumento ai caduti di una tragedia che segnò la storia delle corse automobilistiche su strada, sancendo di fatto la fine della “Mille Miglia”. Perché nel pomeriggio del 12 maggio 1957 sulla statale Napoleonica, la Goitese, quella che collega Mantova a Brescia, al chilometro 21 nei pressi di Corte Colomba tra gli abitati di Castegrimaldo e Guidizzolo, ma incredibilmente all’interno del comune di Cavriana, la Ferrari 335 S, la numero 531 pilotata da Alfonso De Portago, con a fianco l’amico giornalista Edmund Gurner Nelson, a causa dell’esplosione di uno pneumatico, finì fuori strada ad oltre 250 chilometri all’ora rimbalzando tra alberi e fossi in mezzo al pubblico sino a portarsi tragicamente via nove vite, tra cui quelle di cinque bambini, oltre ovviamente a quelle dei piloti.

Me ne sono occupato a più riprese. Avevo letto delle gesta di Fon, il marchese volante De Portago, e del suo indomito e sensibile spirito, avevo rintracciato gli epocali servizi di un reporter di razza come Nelson, mi ero appassionato al singolare appuntamento con l’ingrato destino di quelle giovani vite, avevo persino recuperato gli atti del processo che si aprì nelle settimane seguenti a carico di Enzo Ferrari e degli organizzatori. Credevo che quella storia meritasse di essere riportata alla luce, come avevo anche cercato di fare in tutta umiltà nel perimetro di “Once in a lifetime”. Sentivo di doverlo a tutti loro, a quelle anime perse, anche se forse non ne comprendevo fino in fondo il motivo perché talentuosi scrittori e cronisti se n’erano magistralmente occupati in passato. Sentivo però che fosse necessario andare di persona, anche solo per lasciare una testimonianza in tempi così grigi, luttuosi e difficili.

E debbo dire che questa visita è servita, perché solo così ho compreso quanto questa storia continui a giacere dimenticata, priva di una memoria effettiva se non quella foscoliana affidata al freddo marmo, peraltro meritoriamente restaurato poco più di dieci anni fa. Perché nonostante tutte le informazioni e una provetta navigatrice come mia moglie ho vagato per più di quarantacinque minuti in balia di un dedalo di statali, provinciali, corti e borghi, sfiorando fossi e campi, nella più totale assenza di un riferimento, di un misero cartello stradale o anche di una sola targa che ricordasse quel triste evento, per poi finalmente scorgere la stele nel mezzo di un rettilineo distratto senza nemmeno una piazzola dove fermarsi evitando di essere travolti dal veloce passaggio dei mezzi.

Chissà cosa avrebbero fatto i nostri amici francesi, ho immediatamente pensato, chissà quale memoriale, quale museo, quale casa dei ricordi e della memoria. Certamente avrebbero almeno trovato il modo di rallentare quel traffico distratto, per una questione di rispetto e partecipazione, per farci riflettere sul destino, sull’imponderabilità, sul caso e su tutte le nostre debolezze.

Perché lì la velocità e la brama degli uomini hanno spezzato delle esistenze, perché proprio lì si sono dissolte attese, gioie, speranze assieme ad un’idea di progresso ancora troppo ingenua e lineare. Perché quella stele eretta in affettuosa memoria di nove persone e di due veloci piloti non rimanga solo una vuota commemorazione di marmo ma rappresenti piuttosto un accorato monito a cogliere la sfida del futuro in maniera sempre consapevole e responsabile.

“Innocenti / uomini d’altri tempi / astratta potenza / fuggono la vita e la storia / lasciando dietro a sé / la strage / di uomini d’oggi / presenti e felici / della calda umida vita / innocenti eroi”