Once in a lifetime: Robert Doisneau

Il 14 aprile 1912 nasce a Gentilly, nella Valle della Marna, Robert Doisneau, di professione fotografo. Robert si lasciava facilmente impressionare, esattamente come le sue pellicole, dalla vita, quella di tutti i giorni che vedeva scorrere via davanti agli occhi, dalle finestre o dai tavolini dei bistrot. Era quel suo occhio, quella talentuosa capacità di scavare i caratteri e le personalità dei suoi ritratti a farne un’eccezione. Perchè Robert riusciva a catturare quello che agli altri sfuggiva, il dolore e la tristezza, come la gioia e la felicità. Lo faceva con rara semplicità e con un tocco  leggero che diventava spesso arte e poesia. Doisneau amava la strada. Ci era cresciuto in anni di guerra, ci aveva perso entrambe i genitori, ci aveva combattuto in anni di resistenza, lì si era riconciliato con la vita osservando i bambini, i loro giochi e la loro esuberante vitalità, finendo per ritrarla e consegnarla così ai posteri.

Fotografia “umanista” l’avrebbero battezzata, per via di quei tratti, di quelle traiettorie umane timide e incerte. Tra quelle trame vi avrebbero scorto stretti legami e contatti con tutti i grandi dell’epoca, con André Kertész, Eugène Atget e Henri Cartier-Bresson. Con loro Robert condivideva infatti il pregio di emozionare raccontando il presente, i luoghi e le persone che popolavano la Parigi degli anni cinquanta e le sue periferie basse, operose e popolari, catturando lo spirito di un passaggio storico cruciale, quello del dopoguerra, gli anni difficili della ripresa ma anche quelli di Jean Gabin e di Edith Piaf, del sogno e della modernità. I suoi scatti non immortalavano solo bambini, ragazzi, mamme, padri, giovani innamorati e anziani solitari. Quelle straordinarie istantanee in bianco e nero finivano in realtà per ritrarre la sua città incantata e senza tempo, di cui rimangono ancora oggi il più commovente e vivido affresco.

Ma non di improvvisazione si trattava, perchè gli scatti di Robert avevano tutti una caratteristica che li rendeva davvero unici. Perchè quelle fotografie erano piccole rappresentazioni del reale, studiate e meditate, lucide e cortesi messe in scena, la fedele concretizzazione di un idea, la costruzione di piccoli quadri che avevano lo scopo di rendere palesi e riconoscibili attimi e brividi altrimenti celati dalla concitazione del quotidiano.

Dopo un lungo apprendistato litografico, il giovane Robert aveva cercato lavoro finendo per essere assunto dalla Renault. Ma tutta quella rigidità, quegli orari, quel dover prestare attenzione a modelli industriali non facevano per lui. Fu quel repentino licenziamento a cambiargli l’esistenza e a spingerlo verso l’agenzia fotografica Rapho, per la quale lavorò per oltre cinquant’anni, diventando un pioniere del fotogiornalismo di guerra prima di tornare alla sua Parigi e a quelle strade di cui riusciva a raccontare gli aspetti più inediti, contraddittori e singolari. I suoi servizi vennero pubblicati da grandi riviste come “Life” e “Vogue” e collaborò anche con grandi scrittori come Blaise Cendrars e Jacques Prevert.

Il suo scatto più celebre,“Le baiser de l’Hotel de Ville” che immortalò per sempre la poesia di un romantico e appassionato bacio tra due innamorati nel flusso della folla in movimento, fu anch’esso una rappresentazione.  I principali protagonisti, due giovani aspiranti attori, Françoise Delbart e Jacques Carteaud, erano realmente innamorati anche se da lì a qualche mese si sarebbero lasciati. Robert aveva osservato da lontano quel loro fugace gesto, vi aveva visto una prova di quel suo mondo empatico e emozionante e aveva proposto loro di replicarlo in favore di obiettivo. Nonostante quindi non fosse stato “rubato”, come volle invece la successiva vulgata, e fosse anzi il frutto di una piccola innocente recita, quello scatto, al pari del suo intero catalogo, mantiene inalterata una straordinaria e possente forza evocativa che lo rende non solo una peculiare icona del suo tempo ma anche il simbolo dell’incantata e fatale leggerezza della nostra natura.

“Per tutta la vita mi sono divertito a fabbricare il mio piccolo teatro. Io non fotografo la vita reale, ma la vita che mi piacerebbe che fosse. Quello che cerco di mostrare è un mondo dove mi sento bene, dove le persone sono gentili, dove trovo tutta la tenerezza che spero di ricevere. Le mie foto sono la prova che questo mondo può esistere”