Once in a lifetime: Conny Plank

Il 3 maggio 1940 nasce a Hütschenhausen, in Renania, Konrad Plank, di professione ingegnere del suono, produttore discografico e musicista. Tra la fine degli anni sessanta e i primi settanta in Germania accade qualcosa che sarà destinato a mutare le future mappe della musica contemporanea. Capita, infatti, che un manipolo delle migliori e più brillanti menti di quella generazione, cresciuta nel primissimo e difficile dopoguerra, provi a reagire al senso di colpa collettivo costruendo un progetto critico attorno a temi come l’identità collettiva, l’impatto della tecnologia e l’alienazione dell’uomo al cospetto delle ferree leggi del mercato.

Nella Germania dell’immediato dopoguerra non esisteva più alcuna “musica vivente” e quotidiana. L’unica ad essere sopravvissuta al nazismo era stata la musica classica, a cui si era, poi, affiancata l’elettronica sperimentale e contemporanea di pionieri come Stockhausen. Quella tabula rasa, quella perdita di ogni tradizione strumentale, aveva aperto le porte alla sperimentazione, all’avanguardia e a nuove sonorità sintetiche. Quella tedesca fu una vera e propria esplosione. Nel giro di qualche anno bands come Tangerine Dream, Can, Cluster, Faust, Ash Ra Tempel, Popol Vuh, Amon Duul, Neu! e, soprattutto, Kraftwerk conquistarono, infatti, l’attenzione della stampa internazionale che ne battezzò le gesta sotto l’etichetta di “krautrock”.

Dietro quei nomi si agitano grandi tensioni e idee brillanti nella convinzione che la musica elettronica sarebbe diventata la musica popolare del futuro. Come spesso accade in tutti i grandi passaggi storici sono però gli uomini del backline, quelli dei “suoni”, i produttori, gli agenti e i fonici a ricoprire un’importanza primaria. Tra questi il più geniale, coraggioso e originale si chiama Conny Plank.

Konrad aveva un solido passato di polistrumentista. Era stato una colonna del progetto Cluster, aveva partecipato a molte interessanti scorribande d’avanguardia trovando infine con Dieter Moebius una sorta di affinità elettiva che si sarebbe sviluppata nel corso dei decenni a venire. Ma Conny da il meglio di sè quando si siede davanti alla consolle nel suo studio, in una fattoria a trentacinque chilometri da Colonia. Da quelle stanze passerà la storia della musica e, con essa, gruppi del calibro di Kraftwek, Ultravox, Brian Eno, Devo, DAF, Neu!.

Plank è un vero innovatore. Adora ogni cosa che gli parli del futuro, dai registratori multitraccia a tutto l’ampio spettro dell’effettistica. Conny è uno sperimentatore attento e accurato alla ricerca del perfetto equilibrio tra tappeti sintetici e implementazioni analogiche. Bassi profondi, grandi compressioni, suoni asettici e glaciali coronati da una presente sezione ritmica saranno per un buon decennio la sua firma sonora. A quel suo laboratorio saranno in molti a guardare. Lo faranno Bowie e Eno per inventare la trilogia Berlinese e in particolar modo le derive di “Heroes” e “Low”, lo faranno produttori inglesi come Steve Lillywhite, Hugh Padgham e Nick Launay che a loro volta battezzeranno i nuovi suoni del post punk e della cold wave britannica, ci si perderanno infine centinaia di epigoni. Persino il folle genio di Martin Hannett, produttore e anima oscura dei Joy Division, confesserà di essersi ispirato ai suoi lavori per registrare l’epocale esordio della band di Manchester.

Conny amava sperimentare, sovrapponendo effetti diversi per cercare l’amalgama più efficace e l’editing più efficente. In questo si dimostrò avanti di almeno dieci anni rispetto a molti colleghi. Plank era solito modificare le consolle per poter lavorare con più effetti contemporaneamente, aveva inventato una sorta di campionatore polifonico e rimaneva per ore sul banco a provare le soluzioni più improbabili. Conny era davvero una forza propulsiva divenendo il valore aggiunto di tutti i grandi artisti che ha prodotto, il “membro in più”, quello più importante, quello che aveva la visione e il tocco giusto per far girare il brano nel modo migliore. La storia della musica è fatta di grandi produttori. Phil Spector, Sam Phillips, George Martin, Rick Rubin e Steve Albini avevano tutti un loro suono, una specie di marchio di fabbrica che, ogni volta, veniva calato e replicato in ogni disco da loro prodotto. Più che un suono, Conny aveva, invece, una filosofia. Il suo approccio mirava a far emergere quello che l’artista gli metteva a disposizione, dandone, di volta in volta, una diversa interpretazione creativa. Fu questa specialità ad aprirgli le porte del futuro. Plank divenne così il mago del remix, il guru dell’arte di andare avanti e indietro, di tagliare e cucire, di prendere e buttare. A lui si deve la moderna produzione. Per dirla con Brian Eno, “Conny era una persona piena di risorse: in parte faceva l’artista, in parte l’ingegnere / produttore e in parte l’inventore. Ancora oggi mi chiedo quale di queste sia stata la più influente.”