Once in a lifetime: Dante Canè

Il 5 maggio 2000 muore a Bologna Dante Canè, pugile per passione e salumiere di professione. Quella di Dante è una vita dedicata al pugilato, un film che potrebbe tranquillamente intitolarsi “Boxe a Bologna”. Perchè quella di Dante è una storia di sacrifici, sangue, guantoni, sudore, scantinati, palestre, ring improvvisati e asciugamani. Una storia che parla di Bologna e dei bolognesi, e che è anche fatalmente la storia della boxe italiana degli anni sessanta e settanta, della “Sempre Avanti” del mitico Franco Cavicchi, di Bruno Amaduzzi e Nino Benvenuti.

Dante era un peso massimo con la faccia da bambino. Nonostante le apparenze, a pugni era davvero un fuoriclasse. Prendeva la vita con leggerezza e ironia, se la faceva scivolare addosso con quello stesso incantato spirito che solo chi ha avuto a che fare con Bologna comprende. Era cresciuto tirando cazzotti, ma solo in palestra, come si addice alla nobile arte del ring. Perchè Canè era il volto migliore di uno sport che è fatto di regole e rispetto, impegno e concentrazione, dove non si colpisce mai sotto la cintura, dove la testa si usa solo per rimanere in partita schivando i ganci dell’avversario, dove le gambe devono continuare a danzare come in un girotondo e dove, soprattutto, alla scoccare del gong dell’ultima ripresa ci si abbraccia sempre.

Dante aveva bruciato le tappe tra i dilettanti ed era, quindi, approdato all’impegnativo e serioso mondo del professionismo, dove giravano soldi e belle speranze, dove non era permesso nemmeno il minimo errore. Era cresciuto a tortellini e lambrusco, respirando i fumi ruspanti dei ring di provincia, dove si saliva solo a combattere, mai a fare del male e dove si andava a parare le proprie paure prima che i pugni dell’avversario. Nonostante un fisico possente, Dante era un ballerino che non attendeva l’avversario ma che provava piuttosto a stuzzicarlo, a stanarlo, a farlo uscire dalle corde nel tentativo di smuovere e incrinare anche le guardie più attente ed arcigne. Poi, se la spalla riusciva finalmente a tendersi per scaricare tutto il possente peso della leva, non ce n’era per nessuno. Tra colpi, punti e knock-out, Dantone diventa così più volte campione italiano di categoria, portandosi a casa quarantacinque vittorie in sessantasei match. “Il gigante buono” tenta anche l’assalto al titolo europeo, contro l’inglese Joe Bugner e l’uruguaiano Alfonso Evangelista, più giovane di lui di ben quattordici anni, senza però avere molta fortuna.

Il suo nome è entrato nella storia per una serie di memorabili incontri con il veneto Bepi Ros, spettacolare e  tostissimo pugile di pura razza piave. La loro fu una vera e propria battaglia che durò anni, un’epica epopea che appassionò tutta l’Italia rimanendo sempre sul filo di un perfetto equilibrio. Sui cinque match disputati, Canè e Ros ne vinsero, infatti, due per parte, mentre il quinto lo pareggiarono tra gli applausi, i fischi, le urla e le solite contestazioni ai giudici. Dante salì su tutti i ring più prestigiosi, come quella volta, sul finire degli anni sessanta, che finì a tirare colpi sul magico quadrato del Madison Square Garden di New York, il tempio mondiale della boxe, mandando al tappeto l’idolo di casa Jerry Tomasetti. Nel corso di una carriera durata più di vent’anni Dante entrò nel cuore della gente, non solo per i risultati, ma anche per la generosità e lo spirito con cui era solito affrontare la vita e il pugilo avversario.

Poi, nei primissimi anni ottanta, decise che era arrivato il momento di appendere i guantoni al chiodo e si mise, con lo stesso impegno, a tagliare mortadelle, prosciutti e salami. Senza nostalgia, senza mai correre il rischio di rimanere ostaggio del passato, ma guardando, piuttosto, con occhi nuovi e curiosi al suo quotidiano futuro. La sua corsa terminò crudelmente, senza alcun preavviso, una mattina di maggio per un attacco di cuore che lo stroncò mentre passeggiava sotto i portici della sua città. Nonostante i decenni trascorsi, Canè rimane, ancora oggi, nel cuore degli sportivi e della sua Bologna. “La boxe è uno sport che ti insegna lo spirito di sacrificio, la voglia di arrivare. Ti dà un senso di serietà nel fare le cose, ma pur sempre rispettando se stessi e gli altri»