Once in a lifetime: Carlo Ceresoli

Il 14 giugno 1910 nasce a Bergamo Carlo Ceresoli, calciatore e allenatore di professione. L’Italia è da sempre patria di grandi portieri. Secondo molti studiosi è una questione antica di geni e desinenze. Se le circostanze storiche hanno costretto per secoli intere generazioni di tuoi avi e conterranei a contenere i danni, a resistere all’infinito succedersi di invasioni e dominazioni per proteggere la tua casa e la tua storia, nel tuo codice genetico primario, nella rosa dei tuoi istinti c’è quello di sopravvivenza, c’è un grande spirito di resistenza, c’è l’idea della difesa e non quella dell’attacco, c’è il famoso e proverbiale adagio del “primo non prenderle”.

Se l’Italia ha dato quindi i natali a portieri del calibro di Aldo Olivieri, Lucidio Sentimenti, Giuseppe Moro, Giorgio Ghezzi, Giuliano Sarti, Enrico Albertosi, Dino Zoff, Walter Zenga e Angelo Peruzzi non è merito del caos o della ruota incerta del destino, bensì di decenni e decenni di calate barbariche, delle invasioni francesi, normanne, spagnole e prussiane, delle campagne Napoleoniche e delle derive austro-ungariche. Insomma, è tutta colpa del Barbarossa e dei suoi sciagurati cugini se, sin dalla più tenera età, sin dalle prime partite al campetto, quando i tuoi amici chiedono disperati chi è che vuole andare in porta, ti ritrovi ad alzare istintivamente la mano andando ad accomodarti alle loro spalle. Chissà, se Federico I Hohenstaufen avesse preferito il rinfrancante calore di un bagno termale alla campagna militare in terra italica probabilmente la nostrana storia del calcio avrebbe raccontato ben altro. Ma, tant’è.

Fare il portiere è quindi una questione di antichi lasciti culturali, il frutto di una radicata predisposizione d’animo che precipita sin dalla notte dei tempi. Fu così probabilmente anche per Carlo Ceresoli, classe 1910, quando, giovane ragazzino, decise che avrebbe fatto da ultimo uomo, da guardiano e saracinesca alla porta della sua squadra, promettendo a se stesso che avrebbe fatto di tutto pur di togliere agli avversari la gioia del gol. Carlo ha un fisico asciutto e longilineo, è atletico e scattante, ha buoni muscoli e, soprattutto, gli viene facile saltare ed uscire in acrobazia a caccia del pallone. Ceresoli non ha paura dei calcioni o dei colpi di testa. E’ bravo non solo tra i pali ma, anche e soprattutto, a tuffarsi nel mezzo dell’area di rigore, tra un intrico di gambe e polpacci, per cercare di sfilare la palla agli avversari. Carlo è un esteta, appariscente e vanitoso, amante del bel gesto atletico ed attento alle pose plastiche. Ma, su tutto, Ceresoli è uno che la palla la prende e se la tiene ben stretta tra le braccia. Ceresoli è un asso della parata, un vero numero uno.

I suoi natali calcistici sono tutti bergamaschi. Cresce nell’Ardens e passa poi all’Atalanta. La svolta arriva quando viene ceduto all’Ambrosiana Inter dove rimane quattro anni, dal 1932 al 1936, disputando centodiciannove partite e mettendosi in luce come uno dei migliori portieri italiani. Poi passa al grande Bologna guidato da Arpad Weisz dove finalmente raccoglie anche gli allori. In compagnia di Sansone, Biavati, Fedullo e Puricelli, Ceresoli conquista due scudetti e un Trofeo dell’Esposizione Internazionale, vinto nel luglio del 1937 a Parigi impartendo in finale una severa e dura lezione ai maestri inglesi del Chelsea, battuti per quattro reti ad una. Con lui tra i pali, i rossoblu diventano così la prima squadra italiana a sconfiggere una inglese in un torneo internazionale. Perché poi con l’Inghilterra e gli inglesi Carlo aveva un conto aperto.

Era una storia che risaliva a tre anni prima, al 14 novembre del 1934. La nazionale italiana di Pozzo era fresca reduce dalla conquista del titolo mondiale ed era attesa da una lunga serie di amichevoli. Gli inglesi fremevano. Convinti della loro superiorità attendevano di ospitare i campioni in carica per mostrare al mondo tutta la loro forza. Si gioca in un pomeriggio umido e freddo, di nebbia ed acqua, ad Highbury, la casa dei Gunners dell’Arsenal, uno stadio ostico, sia per il ringhio sonoro e la pressione della folla arrampicata sulle terraces che per le dimensioni del campo. Quel terreno così stretto e lungo è perfetto per il gioco britannico. Quel match non è solo un incontro tra due fortissime nazionali, ma tra due modi opposti di vedere e masticare football. In campo infatti si schierano due distinti universi tattici: da una parte c’è il “sistema” perfezionato da Herbert Chapman, che predica in calcio offensivo, e dall’altra il “metodo” continentale messo a punto da Pozzo, votato invero ad un gioco di manovra, più ragionato e coperto difensivamente.

Il commissario tecnico azzurro comprende che quella che attende la sua squadra sarà una trappola di acqua, fango e nebbia. I leoni inglesi si gettano infatti subito all’attacco. Non passa nemmeno un minuto che l’arbitro fischia un rigore in loro favore. Carlone Ceresoli comprende subito che quello sarà il pomeriggio della sua vita, perché si allunga splendidamente tra i pali, colpisce la palla e la mette in angolo ricacciando in gola ai tifosi inglesi l’urlo del goal. Ma i bianchi spingono e giocano duro. Ne fa le spese l’anima e il cuore del gioco italiano, l’oriundo Luisito Monti, a cui un’entrata criminale di Drake regala addirittura la frattura di un dito del piede. Rimarrà stoicamente in campo a camminare con un’atroce dolore solo per fare presenza, perché le sostituzioni non sono ancora previste dal regolamento. L’Inghilterra nel frattempo dilaga. Nel giro di dieci minuti va in rete tre volte di fila grazie a Brook e Drake, ma se in porta non ci fosse un indemoniato Ceresoli le marcature inglesi sarebbero già arrivate alla doppia cifra. La partita, iniziata in salita, diventa una sorta di massacro. Si gioca ad una sola porta. Carlo esce coraggiosamente sui piedi degli attaccanti avversari, è attento nei calci da fermo, sicuro e determinante nelle mischie. E’ davvero tutto merito suo se il passivo viene limitato solo ad un mortificante tre a zero.

Nella ripresa Pozzo arretra Attilio Ferraris e sposta Serantoni davanti alla difesa. Gli azzurri recuperano fiducia e gioco, guadagnando quei fatidici venti metri che fanno rifiatare la difesa. Con grinta e fiato i calciatori italiani vanno su ogni palla come fosse la loro ultima e riescono a reagire. Prima Meazza e poi Ferraris vanno in rete davanti alla folla ammutolita di colpo. Gli ultimi minuti sono tutti di marca italiana. Gli inglesi si chiudono in difesa ed è solo la sfortuna ad impedire agli azzurri di pareggiare. Escono, però, dal campo a testa alta, fieri e felici di aver contenuto lo scarto. Buona parte di quegli ammirati applausi è tutta per lui, per Carlone Ceresoli da Berghem, il portierone che passerà alla storia come il vero “leone di Highbury”.