Once in a lifetime: Peter Gordon

Il 20 giugno 1951 nasce a New York Peter Laurence Gordon, di professione musicista. Peter era un bambino brillante e attento ma anche decisamente testardo. Non era per nulla facile convincerlo. Tutte quelle frettolose spiegazioni che fornivano gli adulti non gli andavano a genio. Gli sembrava che celassero domande ben più ingombranti e impegnative delle risposte. Peter sentiva che quel mondo narrato, perfetto e diviso in cromie accentuate e rigidi scomparti, non era il suo. Ecco perché trovava soddisfazione solo quando finiva per scavare ostinatamente la superficie delle cose alla ricerca di una diversa risposta ovvero di qualche apprezzabile alternativa.

Fosse nato secoli prima, probabilmente avrebbe fatto l’esploratore, ma in realtà gli toccarono in sorte il boom economico e lo sviluppo industriale. Peter era figlio delle tensioni che avevano fatto del Lower East Side e di Manhattan la capitale del mondo, la culla culturale di un universo in costante movimento. In quegli anni New York divenne infatti la casa di tutti gli sperimentatori e la palestra per le più straordinarie deviazioni sonore del contemporaneo. In quei club fumosi, tra quei marciapiedi, il presente aveva lasciato spazio al futuro, aveva preso fiato e coraggio abbattendo barriere e schemi, lasciando che intuizione e creatività trovassero nuove e inedite strade espressive, sovrapponendo alfabeti, linguaggi, stili e modelli.

Peter aveva trascorso la prima adolescenza in Europa, a Monaco di Baviera, studiando sassofono, suonando jazz e seguendo da vicino i percorsi di ricerca di John Cage. Anche da quelle parti stavano capitando molte cose interessanti. La grammatica della prima elettronica e la “rivoluzione” motorik erano ormai in procinto di dare l’assalto alla musica popolare e quelle attitudini finirono per influire in profondità sulla sua formazione e sulle future scelte radicali. Così, omologazione, regole, ottusità, rigidità stilistiche diventarono per lui una costante provocazione ed una sfida, un invito a mettere in discussione gli schemi della produzione artistica e della musica di consumo. La sua opera prima, “Star Jaws”, è un vivido affresco di quelle atmosfere, una sorta di acerbo manifesto dello spirito post-industriale che agitava i sogni di molti artisti. Tra quelle tracce Peter si divertiva a far scontrare tra loro i canoni e stereotipi stilistici con le tensioni dell’avanguardia, elaborando una spietata critica sonora della società dei consumi.

Gordon pare finalmente trovato le chiavi che aprono le porte giuste. Così, quando due anni più tardi, torna a casa, nella sua New York, per portare in giro il sax per i club della bassa Manhattan, il destino lo aspetta per spingerlo nelle braccia di un manipolo di eccentrici musicisti, il percussionista David VanTieghem, il trombettista Rik Albani e la cantante Rebecca Armstrong. Nasce così, senza pretese ma con un enorme bagaglio di straordinarie e folli idee, la Love Of Life Orchestra.

Peter abita l’avanguardia. Il suo rischioso mestiere è quello di architettare l’impossibile, di spingersi coraggiosamente là dove gli altri non vanno. E’ un visionario e un provetto contaminatore. Intuisce infatti che tutte quelle traiettorie possono fondersi in una nuova forma musicale che sia, al contempo, ritmo e sperimentazione, espressione intellettuale e fisica, emotiva e coinvolgente. Con la Love Of Life Orchestra Peter fa da colonna sonora ad un mondo randagio, fatto di idee, happening, installazioni, provocazioni, jam sessions e sferzate musicali. I primi lavori tengono assieme il ritmo quadrato della notte con le pulsioni del jazz di frontiera, la sperimentazione della musica colta con la trasparenza del pop e l’energia del funk e della dance. Peter diventa in breve tempo un riferimento per la scena, un lucido suggeritore attorno a cui coagula una galassia di epocali e straordinari musicisti perditempo, come David Byrne, Arto Lindsay e Laurie Anderson, con cui nascono continui e nuovi progetti, singolari intrecci e stravaganti esperimenti.

La specialità di casa Gordon è la dissonanza, la contaminazione rumorosa, l’involuzione armonica e modale, l’improvviso cambiamento ritmico ed un ampio e criminale catalogo di inserti atonali e cacofonici mutuati dal minimalismo e dalla grande stagione delle musiche concrete. A mettere le mani lì, in quel baule di scherzi sonori, Gordon e i suoi amici sono tra i primi. Aprono così strade, indicano percorsi, battezzano pulsioni che non si trasformano mai in nuove ipotesi stilistiche ma solo in centrifughe sonore angoscianti e nevrotiche, perfette per raccontare lo sconforto dell’alienazione modernista e la solitudine della società post-industriale.

Ma ciò che smarca definitivamente Peter dal resto della concorrenza e che resterà, negli anni a seguire, il suo vero marchio di fabbrica, è quella rischiosa e stordente commistione di attitudini opposte, in bilico tra leggerezza e provocazione, melodia e esplosioni rumorose, ritmo e bizzarre deviazioni avant-jazz, beat incalzanti e magie elettroniche. Nel suo laboratorio il frullatore sonoro non smetterà mai di macinare e distruggere l’immaginario collettivo della musica contemporanea.

Gordon diventa parte della grande anima di New York e patrimonio del suo dna, del suo fiato pesante e delle sue visioni più radicali e innovatrici. Con la navicella spaziale della Love of Life Orchestra continuerà ad esplorare gli spazi profondi mescolando ingredienti distanti e diversi, dal jazz al melodramma, dal rock alla world music, regalando brani e composizioni a Laurie Anderson, Suzanne Vega, David Johansen, The Flying Lizards, Lawrence Weiner e Arthur Russell. Dalle sue formule e dalle sue ardite sperimentazioni transiterà buona parte delle intuizioni e delle intelligenze espressiva che hanno profondamente connotato questi ultimi decenni.

Peter compie oggi sessantaquattro anni e, a giudicare dal suo recentissimo ultimo lavoro, “Symphony 5”, ha ancora tante cose da farci ascoltare. “Nostalgico, romantico e umoristico, il sound di Gordon si pone al confine fra disco-rock, post-modernismo e exotica”, così lo racconta Scaruffi. “La perfezione formale delle sue mini-sinfonie per stereotipi del consumo costituisce il risultato maturo di un decennio di pop art sonora, di analisi e vivisezione socio-musicale del suono.”