Once in a lifetime: Don Revie

L’11 luglio 1927 nasce a Middlesbrough Donald George Revie, di professione calciatore e allenatore. Don ha incarnato l’anima profonda del football britannico, i suoi aspetti più alteri e ruvidi. La sua leggendaria parabola ha attraversato anni intensi e meravigliosi, aderendo ad un calcio saldamente legato ai fondamentali, al confronto fisico, al possesso palla e alla profondità di manovra. Nel suo universo non c’era spazio per lo sfoggio di inutili preziosismi; nel suo calcio, in primis, non bisognava prenderle e, poi, magari le si dava pure.

In quella grammatica estremamente agonistica, il dribbling non era affatto di casa: lo si praticava solo quando era strettamente necessario, quando i lunghi cross ed i passaggi non riuscivano ad aver ragione dell’arroccamento difensivo. Quella sua peculiare impostazione veniva da lontano, coincideva con il suo passato calcistico ed, in parte, anche con la gloriosa tradizione della tribù inglese, della bella e nobile società del “passing game” e del “kick and run”. Don era nato attaccante di manovra. Giocava da punta, subito dietro il centravanti, libero di spaziare lungo tutto il fronte offensivo. Vestiva spesso i panni del rifinitore. I brutali trattamenti ricevuti e quel punto di vista maturato “tra le linee” lo avevano convinto che per vincere le partite bisognasse innanzitutto chiudere, con ogni mezzo possibile, gli spazio agli avversari. Sembrava, la sua, una sorta di ossessione, un’atavica paura di lasciare campo agli avversari. Fu probabilmente così che mutuò l’idea che fosse più efficace e redditizio un calcio maschio e duro a dispetto di manovre avvolgenti e di ampio respiro. Ciò nonostante, a dispetto di tante banali ricostruzioni postume, le squadre che allenò giocarono sempre un football eccellente e ambizioso, attento e guardingo, mostrando lo stessa micidiale intensità nell’impostazione del gioco come nella rottura sistematica delle trame avversarie. Fuor di metafora, Revie rimase sempre un allenatore appassionato e preparato, aggressivo e polemico. Un vero osso duro, insomma.

Don era nato nella stessa città del suo storico rivale Clough. Veniva da una famiglia operaia, certamente non agiata. La situazione peggiorò all’indomani dell’improvvisa scomparsa della madre, quando ancora non aveva compiuto tredici anni. In mezzo a tutti quei sacrifici e al dolore della perdita, il calcio rappresentò per lui un’autentica ancora di salvataggio. Quattro anni più tardi lo cerca il Leicester che lo mette subito sotto contratto. Don si rivela un attaccante prezioso non tanto per le marcature che realizza, che peraltro non sono mai rare, ma per quelle che regala ai colleghi di reparto. Passa, quindi, all’Hull City, al Manchester City e ai “Black Cats” del Sunderland, prima di essere acquistato, ormai in aria di ritiro dal Leeds Utd. Qui trova l’ambiente perfetto per le sue attitudini. La società è solida e robusta, Elland Road un campo ostico, il pubblico affezionato e più interessato al risultato che al bel gioco. Inoltre, circostanza assai rilevante, il presidente Reynolds è sufficientemente determinato a fare dei bianchi una squadra finalmente vincente. Ne nascerà un lungo e gratificante sodalizio di ferro.

Sarà sull’onda di questo rapporto simbiotico e fiduciario che Reynolds, a distanza di 4 anni, 76 partite e 11 gol dal suo arrivo, gli affiderà la panchina, con il compito di risollevare le sorti della compagine. Revie allenerà per quattordici lunghi anni, dal 1961 al 1974, il Leeds Utd, realizzando uno dei più mirabili e vincenti cicli di sempre nella storia del football inglese. Don raggiunge rapidamente la promozione in First Division al termine della stagione 1963-64 e, in quella di esordio nella massima categoria, finisce per disputare, senza fortuna, la finale di F.A. Cup perdendo per sole sei reti il titolo nazionale che andrà invece al Manchester Utd. Da lì in avanti il Leeds conquista ogni trofeo in Inghilterra imponendosi anche in Europa, dove si aggiudicherà due Coppe delle Fiere arrivando inoltre in finale in Coppa delle Coppe e in Coppa dei Campioni.

Le sue squadre assumono i tratti del suo carattere, duro al limite del fallo con l’avversario, paterno e comprensivo con i suoi ragazzi, da cui è adorato. Don rivoluziona anche la gestione tecnica. Invia sempre gli osservatori a valutare le squadre che deve affrontare e fa preparare schede puntuali e aggiornate sullo schieramento tattico, sui punti deboli, sui giocatori “da curare” e sulla tipologia di gioco. Revie sceglie giocatori adatti ad un gioco ruvido, aggressivo e fisico, perché il suo football è una sorta di sudato corpo a corpo in cui bisogna lottare su ogni pallone per presidiare tutta la fascia centrale del campo. Per via di questa impostazione battagliera, le sue formazioni sono spesso state accusate di praticare un gioco falloso, duro e sporco, senza rispetto di avversari e regole. Qualcuno addebita a lui una mancanza di fair play ed una serie di condotte scorrette ed illecite. Qualcuno gli rimprovera i micidiali tackles di Bremner e Giles, altri raccontano di tentativi di corruzione. Ma al di là delle celebri polemiche televisive con Brian Clough e Bill Shankly, la sua discussa figura si associa ancora oggi, a ventisei anni dalla sua scomparsa, avvenuta prematuramente nel 1989 a causa della famigerata Sindrome Laterale Amiotrofica, a quell’icona di allenatore vincente, burbero e scaramantico, scrupoloso, protettivo e bonariamente paternalistico che ha fatto la fortuna di buona parte della letteratura calcistica.