Once in a lifetime: Woody Guthrie

Il 14 luglio 1912 nasce a Okemah, in Oklahoma, Woodrow Wilson Guthrie, folksinger per vocazione e musicista per profonda passione. Woody e la sua chitarra diedero, per molti anni, voce agli esclusi, agli ultimi e ai vagabondi. Le sue canzoni, infatti, raccontarono al mondo l’anima dolente dell’America degli anni venti e trenta, quella stessa racchiusa magicamente in molte pagine letterarie da grandi e immortali scrittori, quella percorsa da istinti atavici, stretta da fame e disperazione ma, talvolta, anche riscattata da reti di solidarietà e di mutuo soccorso. Il vivido affresco di Woody mette in scena l’amara elegia di un’intera epoca; è la cronaca annunciata di una tragedia collettiva, la storia tormentata di migliaia di famiglie di contadini ridotte sul lastrico da una squallida storia di speculazioni e da un’incontrollata spirale di imprevedibili circostanze.

Woody era il figlio legittimo di quell’America. Era cresciuto in una famiglia segnata da drammi e dolore. Perse la casa, che andò bruciata, perse una sorella, rapita per sempre dall’esplosione di una stufa a petrolio, perse la mamma, per il dolore che ne seguì, e il padre, ormai in bancarotta per l’esaurirsi dei pozzi petroliferi, per una vicenda di gelosia ed amanti. Woody divenne, così, adulto a undici anni, imparando a sopravvivere ed a resistere ad angherie e ingiustizie come ai morsi della fame. Se ne andò a lavorare per paghe da miseria e manciate di grano.

L’impatto devastante della crisi e le disastrose tempeste di sabbia resero le campagne del Sud luoghi spettrali e lo costrinsero, al pari di decine di migliaia di altri concittadini, a voltare le spalle ai luoghi natii per cercare fortuna altrove, rimpolpando un nutrito esercito di vagabondi che si trascinava a stento, di paese in paese, sugli sferraglianti carri merci dei treni, a caccia di piccoli lavoretti. Per sbarcare quel triste lunario il giovane Woody si risolse a fare i conti con impieghi duri ed umili, svolgendoli sempre con grande impegno e profonda dignità. Prima di imbracciare con convinzione la chitarra, Guthrie si improvvisò imbianchino, garzone, lustrascarpe, strillone e, persino, predicatore.

Su e giù dai treni in corsa, Guthrie diventa membro di una comunità dolente e nomade, fatta di hobos in fuga dalla miseria e dalle ronde dei vigilantes verso terre e tempi migliori, verso l’orizzonte dorato della California, la “terra promessa”. Woody ha un animo sensibile e occhi attenti: osserva da vicino quella disperata manodopera a basso costo alla ricerca di lavoro e dignità, indifesa ed esposta agli avidi interessi dei latifondisti. Sarà quell’America impaurita e sgretolata, crudele e allo sbando, a trovare spazio e ospitalità nei suoi brani..Quel sud arido di polvere e di vento diventerà una perfetta metafora dell’egoismo umano; un’infinita frontiera di dolore e tristezza alle prese con un passato durissimo ed un futuro tutto da scrivere. I temi della fuga, del viaggio, della strada, della violenza, dell’ingiustizia sociale, dell’esodo e delle radici del “sogno americano” diverranno così centrali nel suo sterminato songbook.

Le “Dust Bowl Ballads”, registrate nel 1940, ripresero la grande tradizione popolare statunitense ibridandola al ritmo dei “talking blues” della musica nera e delle suggestioni corali che agitavano il vento del nord, quello che arrivava da lontano, dai docks irlandesi e dalle filande di Sua Maestà la Regina. La sua è musica diretta e sanguigna, di denuncia e protesta, che alza forte il grido dello sdegno e che non teme di puntare il dito nei confronti di sfruttatori e delinquenti. Con Woody la musica diventa, per la prima volta nella storia, non solo un potente mezzo di narrazione, ma anche una testimonianza politica di impegno e militanza, aprendo la strada a un’infinita teoria di celebri ed applauditi epigoni, da Phil Ochs a Pete Seeger, da Springsteen a Bragg passando per il graffio punk di Strummer e soci.

Guthrie è stato la coscienza critica di un’intera nazione, divenendo negli anni un solido riferimento per l’intera comunità folk del Greenwich Village. All’America del benessere e di Hollywood, Woody contrappose l’America degli emarginati, quella delle lotte sindacali e dei quotidiani drammi del lavoro e dello sfruttamento, dando finalmente voce a chi, sin lì, non ne aveva avuta. Fu testimone di drammi collettivi e individuali, dell’arroganza del potere e della speculazione finanziaria, della crisi economica e del riscatto morale, della fuga dalle campagne e del degrado dei quartieri suburbani. Woody attraversò un grande pezzo della storia e le tragiche circostanze, alla fine, lì lo intrappolarono. Una malattia rara e tremenda, il morbo di Huntington, lo costrinse, infatti, in un letto d’ospedale dove la morte lo colse il 3 ottobre del 1967.  Nonostante quel tragico e prematuro commiato, Guthrie rimase per tutti il paladino della canzone di protesta e dell’ideale e imperitura battaglia per un mondo migliore. “Forse vi hanno insegnato a chiamarmi poeta, ma io non sono poeta più di voi. Non sono più di voi autore di canzoni, né un cantante migliore. La sola storia che ho cercato di scrivere siete voi.”