Once in a lifetime: Thurston Moore

Il 25 luglio 1958 nasce a Coral Gables, in Florida, Thurston Joseph Moore, di professione musicista e produttore discografico. Nel frenetico rincorrersi di derive a cui l’impatto “disruptive” del punk ha dato origine, non sono pochi gli artisti seminali che hanno lasciato il segno. Alcuni di questi hanno inciso più di altri su quello che poi ne è seguito. Molte le probabili ragioni: singolari incroci del caso, che ha spesso regalato prospettive altrimenti impraticabili, o, più banalmente, massicce dosi di feroce determinazione. In altri casi il merito fu, invece, di un’intuizione, leggera e singolare, cresciuta, nel breve spazio delle prime prove discografiche, sino a diventare una matura e lucida visione dell’esistente.

Una peculiare idea del mondo.

All’origine della lunga parabola tracciata dai Sonic Youth e da Thurston Moore vi è proprio questo, una peculiare idea del mondo, metafisica e culturale, specchio di un’attitudine artistica fieramente indipendente, gelosa e distante da ogni indebita intromissione produttiva e commerciale. Per tutta la sua longeva carriera, la band newyorchese ha infatti saputo intercettare tensioni, umori e percorsi che già da tempo covavano nella notte di New York e li ha restituiti all’attualità sotto forma di pensiero radicale e obliquo, alternativo ed emotivo. A differenza di altre band, i Sonic Youth sono brillantemente sopravvissuti alla loro stagione, costituendo, in questo, una ragguardevole eccezione per un ambiente musicale avvezzo a immolare rapidamente miti ed eroi. La band di Thurston è così rimasta in campo per almeno tre decenni divenendo un autorevole punto di riferimento ed una sicura “reference” per artisti dal pensiero divergente.

Nella chitarra di Moore si sono specchiati generi e generazioni diverse. In quel suo modo di intendere la musica e di suonarla, così marginale e poco ortodosso, curioso ed attento a tutte le derive delle arti visive e della pop culture, si sono agitate e scontrate attitudini, storie e scuole distantissime tra loro. In quel suono, tra quelle ardite architetture e quel graffiante rumore si sono riconosciuti molti dei successivi protagonisti, perché ognuno di loro vi ha trovato radici buone per dare corpo e significato al proprio disagio artistico ed espressivo. Thurston è stato un fondamentale punto di equilibrio per la band, non solo per l’innata abilità di catalizzare e gestire sensibilità distanti, andando ben oltre gli steccati di genere, ma anche per la lucidità con cui ha tracciato, con assoluta libertà, traiettorie che organizzavano sintassi musicali diverse sino a trovare un instabile equilibrio che suonasse, al contempo, attraente e ruvido, rabbioso e sognante, fastidioso e delicato, tra testi surreali e un’inedita e coraggiosa etica del fare.

I Sonic Youth, ovvero il lato obliquo ed oscuro del futuro della musica giovanile.

La band newyorchese è riuscita così a parlare molte lingue senza mai preoccuparsi di doverne scegliere una. Anche per questo i Sonic Youth hanno magistralmente rappresentato la “side B” del luccicante paradiso delle classifiche di vendita, il lato oscuro del futuro della musica giovanile, attribuendo un nuovo significato musicale all’inquieto spleen generazionale e rielaborando con originalità suggestioni stilistiche che sulla carta potevano sembrare difficilmente conciliabili, dal sogno hardcore dei Fugazi alla psichedelia californiana, dai nervosi rimbalzi del garage rock all’avanguardia della No-Wave, dalla spinta del post-punk all’urgenza dialettica dell’hip hop, dal crepuscolo noise e industrial alle ibridazioni sperimentali. I Sonic Youth sono stati tutto questo: una sorta di venerata e stimata icona del post-moderno, una band influente e autorevole a cui tutti sanno di dover qualcosa. Perché il significato della parola “indie” appartiene proprio a loro.

Di questa straordinaria avventura Moore ne è stato il principale protagonista. La sua chitarra rumorosa e totale, figlia degli episodi più fisici di Glenn Branca, le sue graffianti distorsioni, il suo contaminato “wall of noise”, perfetta sintesi stilistica di generi e sottogeneri off, sono ancora oggi un’efficace bussola per comprendere e tracciare mappe, rotte e traiettorie della musica americana. Simbolo vivente del rock indipendente, Thurston Moore ha scritto pagine straordinariamente poetiche e rabbiose, nichiliste e sognanti, giocando spesso con registri opposti ma sempre di grande impatto emotivo.

 “Cercare di controllare la musica è come cercare di controllare i moti del cuore: niente riuscirà a fermarli.”