Once in a lifetime: Achille Varzi

L’8 agosto 1904 nasce a Galliate Achille Varzi, di professione pilota automobilistico e motociclistico. A rileggere la storia dei grandi protagonisti del passato si corre spesso il rischio di scivolare nella trappola del superlativo, dell’iperbole vertiginosa, della retorica da annali. Perché quelle fragili vite, che si attaccavano allo sterzo come alla vita, a un sigaro o ad una fiaschetta di brandy, trovavano tutte un comune epilogo. Molti di quei corridori che lasciarono il segno per il bello stile, lo sprezzo del pericolo, lo svolazzo poetico di una traiettoria o l’ombra di una tenera incertezza, finirono infatti i loro giorni ai margini di un tracciato o di una strada, imprigionati tra le lamiere dei mezzi o a testa in giù in un fosso. Quel destino tragico e prematuro li accomunò a prescindere dall’età, dal censo, dagli studi o dai più o meno nobili natali. E nelle sorde pieghe del fato rimbalza oggi una domanda che sfocia sempre in azzardate riflessioni. Perché, a distanza di decenni, tutti ancora si chiedono cosa fosse a muoverli ed a spingerli sino a lì.

Stregati dalla velocità e dall’ossessiva urgenza della sfida

Nei fatti la morte su quelle strade era di casa. Prima o poi passava a trovarli e a prenderli, uno ad uno, allo stesso modo dei primi cavalieri dell’aria o dei più temerari esploratori. A prima vista il senso collettivo di quelle esistenze conservava l’impalpabile leggerezza di un alito di vento. Eppure nessuno di loro si tirò mai indietro. Anzi, quelle vite furono tutte esuberanti, piene di rimbalzi spavaldi, di poste raddoppiate, di rilanci al buio e di azzardi. Quelle vite appartennero ad epoche remote dove la percezione dell’esistenza era diversa. Nessuno di loro era un pazzo psicopatico, ma nemmeno un eroe. Erano solo piloti, stregati dalla velocità e dall’urgenza ossessiva della sfida; gente disposta a tutto pur di mettere il parafango della propria monoposto davanti a quella del loro avversario. E se poi non si tagliava il traguardo, se alla fine qualcosa andava storto, pazienza, perché ci avevano provato, avevano in qualche modo soddisfatto quella tensione interiore. Questo sarebbe stato il lascito del loro passaggio, sempre alla massima velocità possibile.

Il futuro che avanzava

Achille era il terzogenito di Menotti Varzi e di Giuseppina Colli Lanzi. Veniva da buoni natali. I Varzi erano una famiglia di influenti industriali e politici. Menotti era fratello di Ercole, senatore del regno e fondatore della Manifattura Rossari e Varzi. Come tutti i rampolli delle famiglie agiate, Achille aveva qualcosa che gli altri non avevano, un qualcosa che non ha mai avuto prezzo. Ad Achille, infatti, cresceva del tempo. Ne aveva per coltivare gli studi, ne aveva per fare la corte alle donzelle a cui s’accompagnava, ne aveva soprattutto per coltivare quell’insana passione per la velocità. Achille abitava un’epoca in cui la modernità passava di lì. Non c’era uomo d’affari, politico, imprenditore o sportivo che non fosse sinceramente attratto dalla rumorosa corsa di un mezzo meccanico. Era il futuro che avanzava e quegli uomini ne erano parte integrante.

Dalle moto alle auto

Il suo automobilismo fu quello stesso leggendario dei primi del Novecento, quello delle infinite sfide con Nuvolari e Campari, delle estenuanti Mille Miglia, della Targa Florio e della Susa-Moncenisio. Achille, al pari del mitico Tazio, era letteralmente ossessionato dal primato. Tutta la sua vita corse via come se fosse a bordo di una delle sue auto o delle sue moto. E di mezzi Achille ne pilotò diversi. Fino al 1926 cavalco le due ruote. La moto la portava sin da ragazzino per andare e venire dalla fabbrica, per andare per commissioni. Dal 1922 comincia a farlo con spicccato spirito agonistico. La sua prima moto è una Garelli 350. Achille è un pilota attento ai particolari: si cimenta sui tornanti stretti delle salite con tanto di maglione, pantaloni alla zuava, stivaloni di pelle e una latta piena di sigarette “Macedonia Extra” infilata tra le bretelle. L’anno seguente comincia anche a vincere le gare. Non si fermerà più sino alla conquista del massimo titolo nazionale. Quindi, è la volta delle 500, della Frera, della Norton e della Sunbeam. Lui e Nuvolari si alternano con estrema continuità sui gradini più alti del podio. Nelle pause con il mantovano volante Achille discute e si confida: ne nasce una grande amicizia e un progetto. Quella della moto sarà solo una passione momentanea, perchè per entrambi il futuro avrà quattro ruote.

Lui e il “Nivola”

La sua prima auto da corsa è la mitica Bugatti 1500. Le vetture le prende il “Nivola” per la sua scuderia: acquista quattro Bugatti 35C Grand Prix e ne cede una all’amico Achille. Così avranno gli stessi mezzi, pensa, così la battaglia sarà ancora più gustosa. La coabitazione, però, non dura a lungo perché Varzi rileva l’Alfa P2 di Campari. Il destino continuerà ad incrociare i loro destini. Furono anni di sfide incredibili, le stesse che sono diventate patrimonio collettivo entrando nella leggenda dei motori. Achille ha nervi d’acciaio ed è più macchina dei bolidi che guida. Passa alla Maserati e quindi all’Alfa Romeo, ancora in compagnia di Nuvolari con cui battaglia gara dopo gara. Poi il destino li divide per sempre. Tazio sceglie di andare con Enzo Ferrari a coltivare il sogno di una scuderia italiana e indipendente, Varzi lo scelgono invece i tedeschi dell’Auto Union per portare le frecce d’argento al primato. Quel passaggio segna la sua vita. Achille non solo va forte ma dà anche scandalo. La burrascosa relazione con Ilse Hubach, moglie del pilota Paul Pietsch, scuote l’ambiente e i giornali. I postumi di una grave infiammazione all’appendice lo debilitano e per non smettere di correre ricorre alla morfina, scivolando nel baratro di una disastrosa dipendenza che si trascinerà, tra cadute e malumori, sino alla plateale rescissione del contratto. Varzi ne uscirà lentamente e con grande difficoltà, disintossicandosi in silenzio sull’Appennino modenese.

La fine del sogno

La guerra sembra mettere la parola fine alla sua lunga e brillante carriera, ma terminate le ostilità belliche, il richiamo delle corse si fa nuovamente pressante. Achille torna a correre con l’Alfa e ricomincia a vincere. Quella singolare esistenza trascorsa alla massima velocità, tra luci e ombre, convinzioni e debolezze, in compagnia sempre di belle donne, soldi e champagne, vizi ed eccessi, è un infinito romanzo. Ma, in realtà, Varzi si sta rapidamente avvicina al capitolo finale. La sua storia si conclude alle otto di sera di un’umida sera d’estate, quella del 1 luglio 1948, per una banale uscita di pista sul circuito di Bremgarten, a Berna, alla Jordenrampe, tra nuvole di pioggia e foschia. Varzi prova il tracciato per testare un paio di occhiali speciali, per “sentire” il motore e prendere confidenza con le curve. La sua Alfa Romeo 158 esita e scarta improvvisamente scivolando sulla densa cortina d’acqua. Finisce così in testacoda risalendo lentamente un terrapieno sino a capovolgersi beffardamente. Il sogno del “re delle curve” si spezza in quei pochi drammatici istanti, questa volta definitivamente e per sempre.