Once in a lifetime: Nick Cave

Il 22 settembre 1957 nasce a Warracknabeal, piccolo e impronunciabile villaggio dello stato australiano di Victoria, Nicholas Edward Cave, futuro singer, autore e cantore di murder ballads, nonché scrittore e sceneggiatore. Chi ha avuto modo di vederlo, poco più che ventenne, prendere ad urlate il microfono sul palco dei Boys Next Door, scapestrata ed esuberante punk-band degli esordi, o dimenarsi scompostamente nel bel mezzo della solita rissa con il successivo sodalizio artistico dei “brutali” Birthday Party, non avrebbe mai lontanamente considerato due fondamentali circostanze. In primis, che Nick Cave potesse giungere in una qualche condizione vitale all’età della maturità, secondariamente, che quello scapigliato urlatore maturasse una lunga onorata carriera e, cosa ancor più rilevante, una vena lirica e stilistica di straordinaria cifra e statura. Per fortuna nostra e di Nick, la vita si rivela spesso un’avventura ben più incerta ed effimera delle previsioni del tempo.

Una taumaturgia personale.

Nick è riuscito a stringere il più classico dei patti con il destino. Ma non di un accordo, magari come quello vergato da Johann Faust, si tratta. Rileggendo a posteriori alcuni passaggi della sua cruciale età di mezzo, si potrebbe azzardare che, in alcuni frangenti, Nick sia riuscito ad ingannarlo e ad anticiparne le mosse sfidando apertamente la sorte con un ampio catalogo di tentazioni. Sopravvissuto alle aspre deviazioni giovanili, Nicholas ha magicamente trovato con i Bad Seeds una sorta di taumaturgia personale ed un registro lirico perfetto per raccontare l’esistenza e quel suo instabile equilibrio tra l’inossidabile mito neo-romantico e il nichilismo emotivo. Non è stato un percorso semplice. Qualcuno ha imposto pesanti dazi, altri hanno preteso che le pene inflitte venissero scontate, una ad una. Ma lui ne è sempre uscito, superando eccessi e dipendenze, condanne e disintossicazioni, crisi depressive e spirituali. Così Nick, disco dopo disco, nonostante i “Cattivi Semi” che ha continuato a gettarsi alle spalle, è diventato adulto, ha depistato tutti i fantasmi, le droghe e l’alcol che lo avevano sin lì tormentato, ed ha affrontato con coraggio tutto il suo talento e la sua poesia.

Un nevrotico e brillante climax.

La strada intrapresa lo ha condotto su molte strade e per molti incroci. Ad ognuno di questi non si è arreso alla necessità di una scelta. Anzi, si è spesso fermato lì ad attendere che le cose facessero il loro corso, si è seduto sul ciglio della carreggiata, come avrebbe fatto Robert Johnson con la sua chitarra sul delta del Mississippi, ed ha giocato la sua mano. Non sempre gli è andata bene, ché alle carte, si sa, non si vince solo con l’azzardo. Allora ha dovuto scavare, cercando di stendere la mappa di tutto quell’ampio perimetro oscuro. Con le sue storie, i testi e, soprattutto, le poesie ha restituito ciò che vedeva e sentiva, nella sua cruda gelidità. Nick ha scritto di sbagli che rimanevano tali, di peccati che non trovavano pace, di morbose ossessioni e di autodistruzione, di pentimenti che nemmeno sfioravano i suoi protagonisti, sempre troppo impegnati a sopravvivere per fare i conti con il dramma incombente. In tutto questo percorso letterario e sonoro, Cave è sempre rimasto distante dalla facile tentazione di ricorrere a grammatiche logiche o morali, mantenendo saldamente la direzione originaria. Quel nevrotico climax gli ha permesso di mescolare solennità a tensione elettrica, misteriosa inquietudine ad aperture melodiche. Nick ha messo tutto il suo talento al servizio di un fiume lento e costante di intensità e passioni. Ne sono nate ballads memorabili e cavalcate incalzanti e, nel corso del tempo, i toni del predicatore allucinato hanno lasciato spazio ad una scrittura brillante e dolente, terribile e intensa, arcana e romantica.

Una dura epifania di amori, peccati, tensioni e albe di redenzione.

Cave si è quindi accomodato nel salotto buono della musica d’autore, mescolando toni gotici e apocalittici con la pulsazione profonda del blues delle periferie suburbane, gli spleen esistenziali di passioni ferite con il portato della grande tradizione popolare della “nera”, in un complessivo orizzonte fatto di sangue e ammazzamenti sempre consumato al cospetto di una dura epifania di amori dolenti, peccati biblici, tensioni mistiche e albe inquiete di redenzione che sembrano uscite dalle migliori pagine di William Faulkner e Cormac McCarthy. La sua carriera ha tagliato il traguardo di quindici straordinari lavori, cinque emozionanti colonne sonore, composte a sei mani con i fidi Warren Ellis e Conway Savage, un’avventura elettrica sotto il marchio Grinderman, quattro libri e altrettante sceneggiature. Nick è diventato un protagonista colto ed elegante di questi ultimi anni, un ispirato dark-crooner dell’animo umano, dei suoi sentimenti più profondi, dei fallimenti come pure degli umori e delle pulsioni più oscure ed oblique. Gli anni gli hanno portato intensità e saggezza, ma lo hanno anche esposto a prove crudeli come il recentissimo dramma della perdita del figlio quindicenne. Nonostante l’enorme baratro di dolore che gli si è testé presentato, sono certo che Nick saprà governare, anche questa volta, tutti i suoi demoni saldamente, senza smarrire il senso del suo straordinario percorso artistico e umano.