Once in a lifetime: Miguel Ángel Montuori

Il 24 settembre 1932 nasce a Rosario, nella popolosa provincia di Santa Fe, in Argentina, Miguel Ángel Montuori, di professione calciatore. La storia di Miguel Ángel è una storia veramente sfortunata. E’ una successione di svolte drammatiche, un intreccio di coincidenze assurde e negative. La sua parabola è la fredda cronaca di un destino cinico e implacabile, a cui Miguel ha comunque cercato di resistere, sino alla fine, sino all’ultimo minuto di vita.

Un miraggio. 

Montuori arriva in Italia nell’estate del 1955. Il merito è di un sacerdote innamorato del football. Padre Volpi lo vede giocare, gli racconta dell’Italia e comincia a raccomandarlo in giro per la penisola. A quell’epoca di gol Miguel ne realizzava già parecchi con la maglia dell’Universitad di Santiago, dove si era spostato dall’Argentina per trovare spazio e un buon ingaggio. E’ una punta veloce ed efficace. Chissà quanti gol potrebbe fare anche in Europa, pensa. Il nostro paese per Miguel è una specie di miraggio, è come tornare a casa, come regolare i conti con il destino, il suo e quello di suo padre che da Napoli si era imbarcato decenni prima alla volta delle Americhe. Miguel ascolta i consigli di Padre Volpi e comincia a pensare che l’Italia non sia poi così lontana.

Da Santiago a Firenze.

Montuori è uno dei tanti giovani che varcano l’Atlantico per giocarsi una buona mano a carte, per trovare soprattutto quelle giuste, per portare via la posta dal tavolo e cambiare vita, permettendosi finalmente anche qualche sogno ed un un piccolo pezzo di futuro. Sbarca a Firenze, piazza nobile che di calcio se ne intende, non fosse altro perché ne tutela da sempre un diretto  progenitore. Miguel dimostra subito che la sua valigia non è piena solo di speranze, e nel giro di poche settimane diviene un idolo assoluto dei tifosi viola. Con lui in squadra, a portare il magico dieci sulla schiena, e con Fulvio Bernardini a dirigere il traffico dalla panchina, la Fiorentina apre un ciclo leggendario e regala ai tifosi gli anni più belli conquistando un titolo nazionale, una Coppa delle Coppe, una Coppa Italia e un’altra manciata di trofei. Di quella straordinaria squadra, Julinho e Montuori sono gli incontrastati protagonisti. Miguel Ángel è piccolo e compatto, veloce e geniale. Sotto i lineamenti da indio respira uno straordinario talento del calcio. Quegli occhi lucidi e profondi fanno da specchio ad una lunga teoria di movimenti sinuosi, di finte e sospensioni degne di un rodato tanguero. Montuori è un fenomeno dal piede caldo e dalla grande visione di gioco, ricco di inventiva e senso del gol. La sua strada è finalmente tracciata.

Un terribile destino.

Lo convoca anche la Nazionale azzurra. Miguel è il primo tra gli oriundi naturalizzati di quella generazione ad indossare la fascia di capitano. Tutto sembra andare per il meglio, quando, in un brutto pomeriggio, durante una partita di allenamento a Perugia con le riserve, al rientro da un infortunio, succede qualcosa di imprevedibile. In una normale fase di gioco viene colpito dalla ravvicinata respinta del difensore avversario. Il pallone lo colpisce violentemente sul lato del volto, esattamente tra l’orecchio e la tempia. Montuori sviene. Si teme il peggio, poi, per fortuna, si riprende seppur a fatica e viene rispedito a casa a riposarsi. Sembra tutto risolto, ma quando si risveglia l’indomani il mondo precipita. Miguel non riesce più a mettere a fuoco, vede male, vede doppio. Diplopia, sentenziano i medici che stabiliscono da subito l’atroce cura: immobilità assoluta a letto. Niente di peggio per un professionista della bola. Da lì si apre, purtroppo, un doloroso calvario che dura due lunghi anni tra rieducazione, cure, paralisi, speranze, rabbia e sconforto. Alla fine i medici lo operano, ma l’intervento va incontro ad alcune complicazioni. Ci sono conseguenze sulla carotide. Montuori riporta un danno cerebrale e deve ritornare in sala operatoria: bisogna ricominciare tutto da capo. La convalescenza è difficoltosa. Miguel fatica a riprendersi. E’ una patologia complessa da affrontare anche a livello personale. Si isola, ha paura, non vuole più vedere nessuno. I medici lo rincuorano. Ci sono buone possibilità di tornare come prima, forse anche per tornare a correre su un terreno di gioco. Miguel è un combattente e ci crede. Fino in fondo. Recupera con tanta forza di volontà, ma i medici chiudono ogni flebile speranza. La sua carriera finisce così assurdamente, nel più atroce e beffardo dei modi, a soli ventotto anni. Potrà condurre una vita normale, ma con il calcio ha chiuso. Miguel Ángel è benvoluto da tutti, mastica calcio sin da quando era in culla e si inventa giornalista. Il suo nuovo inizio, però, dura molto poco.

Alla fine, un raggio di sole.

All’inizio è un banale mal di testa, anche se duro e pungente, poi diventa un dolore insostenibile. E’ un maledetto aneurisma. la sua vita viene nuovamente sconvolta. Nuova operazione d’urgenza e nuovo calvario, più lungo e triste del precedente. Reagisce, ancora una volta, alla sorte e prova anche ad andare a sedersi in panchina ad allenare. Nel 1971, ormai in difficili condizioni economiche, getta la spugna e decide di varcare di nuovo il grande mare per ritornare a Santiago. Ma la “mala suerte” non smetterà di tormentarlo sino alla definitiva calata del sipario. Montuori si arrende al suo implacabile destino il 4 giugno 1998, a causa del solito male bastardo. Ma almeno nei suoi ultimi anni c’è stato spazio per un bel raggio di sole. Ad accenderlo ci hanno pensato i vecchi compagni dello scudetto che decidono di aprire una gara di solidarietà per dargli una mano. Sarà quel loro splendido abbraccio a farlo tornare in Italia per regalargli ancora una volta l’affetto dei suoi tifosi, un luogo dignitoso dove abitare, un lavoro ed almeno un briciolo di quel futuro che gli era stato ingiustamente rubato.