Once in a lifetime: Giorgio Gaslini

Il 22 ottobre 1929 nasce a Milano Giorgio Gaslini, di professione musicista. Gaslini era un artista che non amava le etichette e i confini. Per una questione di libertà, ma anche per una naturale esigenza di contaminare e sperimentare generi, stili, contesti e desinenze. Gaslini era un uomo di frontiera, uno di quei pionieri che nascono per andare oltre e infrangere il limite addentrandosi in territori sconosciuti senza paura di quello che fatalmente si lasciavano alle spalle. Nella sua lunga carriera Gaslini ha trattato la musica con profondo rispetto senza mai pagare dazio al chiuso dei salotti influenti, all’ortodossia dell’etichetta o al rischio di un’eccessiva frammentazione stilistica. Giorgio ha assecondato un talento esuberante e prolifico. Si è accomodato alla consolle della sala d’incisione come davanti ad un pianoforte, ha diretto orchestre, ha composto, suonato e arrangiato. Ma, soprattutto, ha pensato alla musica come ad una cosa viva e pulsante, in divenire, unica, flessibile e sinuosa come una rara ed eterea melodia. Grazie alle note e allo spartito ha guardato al presente cercando di dare voce alle derive e alle contraddizioni del quotidiano, al disagio e all’inquietudine, al coraggio e alla dignità, senza prendere comode scorciatoie o senza ricorrere agli appannaggi e ai privilegi tipici del suo mestiere.

Un alchimista sonoro

Gaslini è stato un protagonista del jazz continentale, un alchimista sonoro con la passione della musica classica ed il pallino di quella popolare, un precursore della “musica totale”, un innovatore, capace come pochi di sfidare la spocchia dell’accademia e l’ottusità del conservatorio per catturare il disagio della contemporaneità. Gaslini è stato un vero intellettuale, un musicista preparato e talentuoso che non ha mai avuto paura di misurarsi con la complessità ed il fitto intreccio di nuovi e diversi linguaggi. Ha aperto strade mescolando il sapore dell’avanguardia con le lezioni dei grandi maestri costruendo, con serietà e determinazione, una mirabile carriera durata sessantacinque anni, quattromila concerti, quarantadue colonne sonore e più di novanta opere. Il suo pianoforte, le sue partiture, le sue improvvisazioni si sono spesso legate ad un ampio ventaglio di discipline espressive, dal teatro al balletto sino alla miglior stagione del cinema d’autore italiano degli anni sessanta e settanta.

Un suono urgente, urbano e nervoso

La sua proverbiale verve ha regalato colore, dignità e spessore ad un’epoca di luci e ombre. Gaslini ha inventato il jazz italiano del dopoguerra, lo ha plasmato affrancandolo da schemi e riferimenti e infondendogli il carattere urgente, urbano e nervoso di una grande metropoli come Milano. Ma non si è fermato lì. Perché Giorgio ha intuito e precorso tutta la modernità. La sua avventura musicale è maturata sempre all’ombra di un salutare dubbio senza fermarsi alla superficialità dell’etichetta. Questa sua idea, unitamente ad una curiosa tensione di fondo, sono risultate, tra tante altre, il principale pregio della sua opera. Perché per Gaslini il musicista veniva sempre dopo l’uomo, dopo il contesto sociale in cui era immerso ed, anche, dopo la musica. Perché il suono doveva permeare ogni ambiente, abbattere la barriere scolastiche ed invadere il tessuto urbano, dalla fabbrica all’ospedale, dalla strada alle sale da concerto. Perché ognuno avrebbe dovuto dare il proprio straordinario contributo all’interno di un progetto civico comune e più ampio, trasformando la musica in una frequentata e diffusa esperienza quotidiana. Perché, per lui, la musica aveva senso solo se svincolata dalle rigide categorie con cui era stata conservata nei secoli precedenti. Perché a lei toccava il compito storico di colpire, suscitare interesse, interrogare e, soprattutto, far riflettere. Perché solo con la musica si poteva davvero cogliere il senso ed il significato dell’esistenza, del progresso e della libertà. Così, nelle sue composizioni, si sono affacciati spesso generi tra loro distinti e distanti, dalla classicità di Schumann all’inquieto equilibrismo di Thelonious Monk, dalle suggestioni cinematografiche agli intensi riflessi di pagine di prosa e poesia. La sua musica era esattamente come lui, inafferrabile e coraggiosa, il vivace spunto di uno spirito in costante movimento, mai domo e sempre pronto a prendersi il rischio della prossima sperimentazione.

“La Notte”

Gaslini è stato tra i primi ad indagare il delicato rapporto tra ascolto e visione. Ha, infatti, scritto, composto ed arrangiato alcune delle più straordinarie colonne sonore che hanno contribuito a fare del cinema italiano dei suoi anni un capitolo a parte nella storia della cinematografia del dopoguerra. Singolare, tra tutti, fu il suo rapporto con il regista Michelangelo Antonioni. Ne nacque infatti una relazione d’intenti coltivata impalpabilmente nell’ambito di un perimetro di grandi affinità elettive. Per il suo piccolo e inquieto capolavoro milanese “La Notte” Antonioni lo convocò sul set del film. “Mi disse semplicemente: lei Gaslini deve farmi un pezzo così. Così come? gli chiesi. Così, e se ne andò. Mastroianni, Monica Vitti e Jean Moreau mi guardavano ridendo. Hai capito, no? Lo devi fare così. Antonioni era un uomo misterioso. Remoto. Non ci parlammo più, non si congratulò neppure per il mio Nastro d’Argento. Lo rincontrai venti anni dopo in un aeroporto. Maestro! esclamai. Lui si voltò. Ah, è lei Gaslini. Mi afferrò un braccio e disse: che bella musica ha scritto per “La Notte”. E se ne andò”.