Once in a lifetime: Giovanni Salvati

Il 2 novembre 1941 nasce a Castellammare di Stabia Giovanni Salvati, di professione pilota. La storia dell’automobilismo non è solo appannaggio dei piloti più famosi, quelli baciati dalla sorte e dalla fama, dalle vittorie e dai successi, ma è anche la storia di tante giovani meteore che si sono tragicamente spente ai lati delle piste ben prima di cominciare a brillare nel firmamento. Furono, infatti, molti i talenti che sfidarono la velocità a bordo di bolidi precari e su circuiti poco sicuri ed assai pericolosi, pagando per quella passione un prezzo abnorme e capitale. Esattamente come accadde a Giovanni Salvati, giovane promessa dell’automobilismo italiano. L’esito di quella sua straordinaria parabola è tra le più amare e dolorose, perché Giovanni era risalito, con grande determinazione, dalle formule minori e dai trofei amatoriali sino al grande palcoscenico della Formula 2 e si era candidato a diventare un protagonista anche della serie maggiore. Ma, proprio quando sembrava sul punto di premiarne finalmente abilità e perizia, il destino ne richiese il drammatico sacrificio.

Un promettente asso del volante

La sua è una delle tante storie che giacciono ingiustamente dimenticate nei grandi magazzini della memoria. Salvati era nato per correre. Quel suo talento veniva dalla profonda passione per la motoristica e, soprattutto, le vetture. Giovanni era un ragazzo serio e preparato, che studiava il mezzo meccanico in ogni particolare senza arrendersi mai alle difficoltà. Non aveva solo piede e coraggio, ma anche testa. Giovanni era un visionario. Comprese, infatti, prima di altri il futuro dell’auto da competizione. Giovanni lavorava molto sui bolidi che preparava impiegandovi la medesima attenzione che utilizzava quando infilava il casco per mettersi alla guida. Fu tra i primi a modificare i cerchi, ad adattare le vetture a copertura più larghe, a studiare volanti più piccoli e maneggevoli. Quando si siede al volante è duro e veloce ma anche leale e corretto. Qualche volta non fa mistero del proprio disagio. Il mondo delle corse, sotto la spinta degli interessi e dei quattrini, sta rapidamente cambiando, ma Salvati non giocherebbe mai con la sorte, non si sognerebbe di infilare le proprie ruote di traverso rispetto a quelle dei suoi avversari solo per buttarli fuori pista, non ricorrerebbe mai a furbizie ed espedienti. La rapida ascesa inizia con i primi successi nella categoria F.875 Monza e nel Trofeo Cadetti. Giannino si mette in mostra stravincendo gare e coppe. E’ un pilota ancora acerbo, con poca esperienza e pochi soldi ma ha una grandissima passione e un signor piede. Acquista un telaio Tecno, la Novamotor gli affida i propri propulsori e va, così, in pista a sfidare i migliori tenendo spesso testa a gente superveloce e preparata come Peterson, Jarier, Lauda, Hunt, Stuck, Beltoise, Merzario, Pace e molti altri. La pista è un terreno di confronto e scontro dove crescono talenti, vittorie ma anche rapporti professionali veri e leali. Incredibilmente saranno i suoi avversari a raccontarne le gesta ed a parlare bene delle sue imprese. Lo raccomandano con grande insistenza e aprono le porte che contano. Lo impongono così all’attenzione di Graham Hill che lo chiama subito alla sua corte. La Lola Embassy è una scuderia acerba ma stabile e con idee ambiziose. Hill ne è il motore e l’immagine. Salvati sigla un pre accordo per la stagione 1972. E’ il coronamento di una carriera, il sogno della vita. Giannino correrà finalmente in Formula Uno e per una delle scuderie più blasonate. Ma purtroppo un destino vigliacco e beffardo si metterà di mezzo.

Un tragico destino

Il 14 novembre 1971 si corre a Porto Alegre, sul circuito di Taruma, la terza prova del Trofeo Brasileiro di Formula Due. L’asfalto è in pessime condizioni e la sabbia portata dal vento lo rende scivoloso. Anche i guard rail sono malconci e troppi alti dal suolo. In alcuni casi le monoposto rischiano addirittura di passare sotto quelle lame. C’è maretta e i piloti minacciano di non correre. Quella pista è davvero pericolosa. C’è chi alza la voce e chi invece tenta di mediare. Alla fine, dopo le solite pressioni, finiscono tutti per calarsi negli abitacoli ed indossare i caschi. E’ una storia già vista, destinata a ripetersi  ancora in molte occasioni, ogni qualvolta le condizioni di gara risulteranno pericolose. E’ la solita vecchia questione di soldi e ingaggi. Pur partendo dalla terza fila, Giannino, nonostante una vettura non in perfette condizioni, dopo solo pochi giri della seconda manche è già in lotta con Wilson Fittipaldi, gli sta incollato agli scarichi. Giovanni attende il momento buono e, quando intravvede finalmente il varco buono in una curva, prova ad affiancare la monoposto del brasiliano spingendo sull’acceleratore. La sua March, però, perde fatalemente aderenza, scoda sul posteriore e schizza via per la tangente. Non sarebbe nulla se ci lì ci fossero le vie di fuga, non accadrebbe nulla se vi fossero protezioni adeguate, cumuli di pneumatici o metri di sabbia e ghiaia. Ma lì, in quella maledetta curva, non c’è niente di tutto ciò, solo un guard-rail, troppo alto da terra per fermare il suo bolide, troppo affilato per salvare una vita umana. Quel guardrail è invece una lama, una ghigliottina. La March vi si infila sotto a tutta velocità. Giovanni Salvati muore sul colpo. La sua giovane vita si spezza improvvisamente come i sogni e quel contagioso entusiasmo. Il padre e il fratello, a cui tocca anche la dolorosa sorte di apprendere la ferale notizia dalla televisione, decidono di mettere in piedi una squadra con il suo nome, la “Scuderia Salvati”, per onorarne la memoria e far crescere i giovani talenti. Le sue gesta rimasero per qualche anno nei ricordi dei tifosi e dei colleghi, poi la nebbia si abbassò. Di lui rimangono le testimonianze dei familiari e dei suoi colleghi, quelli che sfidava in pista lasciandoseli alle spalle. Così, ad esempio, lo ricordò Ronnie Peterson: “Un vero campione non fa calcoli. Un vero fuoriclasse lotta sempre per la vittoria e non per un semplice punteggio, come Salvati. Giovanni è e rimarrà sempre un vero campione!”