Once in a lifetime: Sandro Ciotti

Il 4 novembre 1928 nasce a Roma Alessandro Ciotti, futuro giornalista, calciatore, e, soprattutto, radio-telecronista. Sarà proprio quest’ultima attività a regalargli fama e notorietà, non solo per l’indubbio stile ed una grande competenza. La sua fortuna sarà, infatti, anche frutto di un destino capriccioso, di una maledetta giornata di pioggia e dell’incerta ed imperfetta scienza medica dell’otorinolaringoiatria.

“La voce”

La sua personale cifra, quella che lo rese riconoscibile, al primo fiato, all’Italia intera e che lo scortò fedelmente per oltre trent’anni di radio e televisione, fu l’inconfondibile voce rauca e profonda. Quella vibrazione non era il lascito di qualche sigaretta di troppo o di una vita efficacemente dissoluta, quanto piuttosto la spiacevole conseguenza di un’encommiabile dedizione professionale. Furono infatti quattordici ore consecutive di diretta sotto una sferzante pioggia battente all’Olimpiade messicana del 1968 a provocargli un grave edema alle corde vocali che rischiò di lasciarlo senza voce e ne scolpì drammaticamente il timbro. Non fu semplice adattarsi a quella nuova condizione. Sandro era un bravo e giovane cronista, ben avviato ad un’importante carriera per la televisione di stato. Sulle prime quella cacofonia lo spaventò. Pensò addirittura di chiudere lì quella parentesi e di cambiare mestiere. Toccò ai colleghi Sergio Zavoli e Paolo Rosi a farlo desistere da quei propositi. Gli spiegarono che, soprattutto nell’effimero emisfero della radiotelevisione non tutto il male viene per nuocere e che quella gracchiante raucedine poteva, invece, diventare la sua fortuna, il suo riconoscibile marchio di fabbrica. Zavoli e Rosi non sbagliarono, perché fu anche grazie alla sua voce che Ciotti divenne un punto fermo nella galassia del giornalismo dell’etere.

Sport, musica e parole

Approdato in Rai nel 1959 per condurre una trasmissione che mescolava sport e musica, le sue più grandi passioni, rimase in azienda per diversi decenni collezionando prestigiosi incarichi e commentando, da par suo, con severo piglio, determinazione e galanteria, qualcosa come 14 Olimpiadi (comprendendovi anche la drammatica diretta della strage al Villaggio Olimpico di Monaco nel 1972), 40 Festival di Sanremo, 15 Giri d’ Italia e oltre 2000 partite di calcio nonchè 8 campionati del mondo di calcio. Ai microfoni di “Tutto il calcio minuto per minuto” dispensò, con signorilità, prontezza di riflessi e una non comune vena ironica, neologismi ed espressioni come «terzino fluidificante» o «stadio ai limiti della capienza». Suo anche il celebre e proverbiale incipit “clamoroso al Cibali”, coniato per condensare efficacemente il soprendente successo del Catania sulla grande Inter. La crescente popolarità della trasmissione si legò non solo all’incalzante ritmo di uno straordinario coro di voci ma, anche e soprattutto, ai siparietti e ai veloci duelli verbali che ingaggiava con l’amico e collega Enrico Ameri. Ciotti era l’inimitabile firma di quel calcio della domenica pomeriggio. Dispensava certezze, pareri e citazioni colte ed entrava nelle case degli italiani con garbo, stile e sobrietà: si accomodava nei salotti all’ora del caffè, tra la prima digestione, la pubblicità della Stock e le sobrie presentazioni di Bortoluzzi. Quando toccava a lui, però, il tempo si fermava. Da buon professionista, Sandro sceglieva sempre le parole più adatte, soppesava verbi e aggettivi, lavorava sul ritmo e le immagini. Creò così un vero e proprio stile radiofonico, unico e inimitabile quanto la sua voce. Le sue analisi tecniche giungevano sempre puntuali ed attente, raccontando il gioco sul filo di fantasia ed emozioni. Tra tanti pregi, uno lo caratterizzò sempre, perché Ciotti parlava di calcio come fosse sempre la prima volta, con trasporto e passione, con sensibilità e una straordinaria e matura comprensione per la sconfitta e il rovescio.

Una straordinaria carriera

Ma non di solo calcio si nutrì la sua lunga parabola professionale. Sandro aveva infatti accumulato negli anni molte passioni ed amori. Da giovane aveva studiato da violinista e con lo spartito aveva imparato ad apprezzare tutta la musica classica, anche se poi si era lasciato stregare dalla leggera modernità e dall’Italia della canzonetta, dal facile refrain e dai sipari più leggendari. Ciotti prilegiava i grandi autori, il jazz di Duke Ellington, l’ironia graffiante di Enzo Jannacci, il fantasmagorico tourbillon di Dario Fo e il cabaret di Gigi Proietti. Possedeva e curava con gelosia una sterminata collezione composta da migliaia di dischi e trascorreva ore con gli amici al tavolo da biliardo. Respirava anche il cinema e le sue atmosfere e si era anche cimentato, in qualità di giornalista, alla regia di due bellissimi documentari dedicati alla vita di Luigi Tenco e Lorenzo Bandini. Da quando era arrivato in Rai aveva sempre cercato di lavorare con qualità e umanità. Queste due caratteristiche rimasero, al pari del timbro vocale, la sua vera firma. Si spense, all’età di settantaquattro anni, il 18 luglio 2003 dopo una lunga malattia. Prima di andarsene lasciò ai posteri la sua autobiografia, “Quarant’anni di parole”, ricca di episodi, citazioni e curiose circostanze. Tra quelle pagine descrisse con grande intelligenza l’arduo compito a cui era stato chiamato e che sempre assolse con grande signorilità e classe. “La radiocronaca è un esercizio più alto della telecronaca. E’ come una splendida amante che però va rispettata come se fosse una moglie. Un esaltante modo di comunicare, in diretta, a milioni di ascoltatori che pendono dalle tue labbra e che obbliga però a un’attenzione feroce».