Once in a lifetime: Vittorio Brambilla

L’11 novembre 1937 nasce a Monza Vittorio Brambilla, futuro pilota automobilistico. Uno come Vittorio mica poteva nascere a Lodi, a Parma o a Cremona. Uno come Vittorio poteva nascere solo in un posto, nel più speciale per chi si emoziona al sordo rombo dei motori. Uno come Vittorio Brambilla poteva nascere solo a Monza, a pochi passi da uno dei più straordinari autodromi al mondo, a pochi metri dal tempio delle corse e della velocità.

Un combattente coriaceo e ostico

A Monza Vittorio era di casa in tutti i sensi. Su quel tracciato, oltre al fiato corto dei motori e al mulinare stridulo degli pneumatici, si rincorrevano tutti i suoi sogni ed una profonda attrazione per la velocità.  Vittorio era un combattente, coriaceo e ostico, abituato a remare nelle posizioni di rincalzo, pronto a fare a sportellate con gli avversari al volante di monoposto spesso acerbe e palesemente problematiche. Di quello strano circo del rischio, Vittorio divenne un protagonista regalando alle tribune brividi e spettacolo. Domava meccaniche e motori. Aveva imparato a tenere in pista monoposto altrimenti inguidabili, aveva capito come controllarle sino a spingerle nel vento. Era diventato bravo in quella specialità di seconda fila. Vittorio era un vero acrobata della velocità. Danzava sul filo dei secondi a bordo di auto difficili e scarsamente competitive, eppure riusciva a dare filo da torcere agli avversari. Quel suo straordinario talento emergeva ogni qual volta le condizioni atmosferiche annullavano i vantaggi accumulati da soldi, sviluppo, cavalli e aerodinamica. L’acqua e la tempesta erano i suoi alleati e gli regalavano chance altrimenti impensabili. Ed era proprio lì, in quei frangenti bagnati, in quelle nuvole di acqua e polvere che emergeva tutta la sua bravura, quella che gli faceva sfruttare ogni singolo cavallo di motori spompati, che gli permetteva di accelerare dove gli altri frenavano, di scodare nervosamente nei punti in cui gli avversari non azzardavano. Perché il suo mestiere era correre con mezzi che non correvano, era andare veloce con monoposto che faticavano a rimanere in pista. Lo faceva da sempre, non solo quando pioveva. Perchè Vittorio era dotato non solo di un piede pesante come un macigno, ma anche di una speciale sensibilità di guida, la stessa che gli valse la stima affezionata del pubblico e la tessera di socio dell’esclusivo club dei più temerari.

Un predestinato

Come molti talenti della sua generazione, anche Vittorio si mise al volante in tenera età. La sua infanzia trascorse per buona parte a giocare con il fratello Tino nell’officina di famiglia. Quel rumoroso cono d’ombra tenne a battesimo le speranze più inconfessabili. Nel destino di Vittorio c’era la pista, quel lungo nastro di asfalto che distava pochi chilometri da casa e che scuoteva le folle ogni fine settimana. La moto fu il primo amore. Poco più che ventenne, Vittorio si iscrive al trofeo Cadetti 175 e non sfigura, mentre il fratello maggiore si dedica già alle quattro ruote. Promuovere e sostenere due carriere motoristiche è un impegno troppo gravoso per la famiglia Brambilla. Così Vittorio attende il suo momento e fa il tifo per il fratello maggiore nella speranza che arrivino anche i primi successi. Tino lo ripaga e scala velocemente le categorie sino alla Formula 2, liberando abitacolo, spazi e risorse economiche. Vittorio non si fa pregare e appena può si mette in mostra. Nel 1972 arriva il primo titolo italiano. Vittorio lo conquista pilotando una Brabham-Ford ed una Birel spinta da un propulsore Alfa Romeo. Sono anni importanti per la carriera, perché molte delle relazioni che maturano tra pista e box si riveleranno fondamentali per il suo futuro.

Il grande balzo

La stagione successiva Vittorio tenta la scalata al titolo europeo di Formula 2. Inizia il campionato pilotando la March del fratello, ma la svolta arriva solo nel corso della stagione con l’inizio di un fortunato sodalizio commerciale con Beta Utensili. Arrivano così risorse fresche da investire e mettere a frutto nel progetto. Vittorio acquista una ben più competitiva March 732 motorizzata BMW e comincia a mettere in fila gli avversari più agguerriti e titolati. Quando spinge, Vittorio è una furia della natura, irruento e caparbio. In pista è un brutto cliente sia quando si attacca agli scarichi di chi lo precede, sia quando guida scompostamente il plotone. Vittorio sale sul gradino più alto del podio in Austria e in Francia. Terminerà la stagione al secondo posto solo per via di un regolamento complicato. L’aria è cambiata. Finalmente gli addetti ai lavori si accorgono di lui. Lo sponsor, la famiglia Ciceri, crede fermamente nelle sue capacità e finanzia il grande salto. E’ così che nel 1974 Vittorio approda finalmente alla massima serie al volante di una March 741. E’ la realizzazione di un sogno cullato per anni. Sarà proprio con quella vettura dall’inconfondibile livrea arancione che Vittorio entrerà nella leggenda.

Il trionfo di Zeltweg

Quella prima stagione lo vede fare raramente capolino nel gruppo dei primi. Vittorio è bersagliato dalla sfortuna ma l’abilità che mette in mostra è grande quanto il suo cuore. Finisce a punti sulla pista austriaca, la sua preferita dopo quella di Monza, e quel risultato pare un buon viatico per la stagione successiva. Il 1975 è il suo anno. La 751 è veloce ma fragile. Il punto debole sono i freni che si surriscaldano rapidamente e vanno letteralmente in fiamme. Brambilla strappa la pole position in Svezia e a Zolder si tiene dietro tutta la concorrenza sino a che la sorte e la meccanica non lo abbandonano. In quelle condizioni Vittorio ha bisogno di una mano. Attende paziente la prima acqua stagionale, non solo per la sua proverbiale abilità di pilota, ma anche perché così ha maggiori chance di raffreddare dischi e tamburi e di giungere al traguardo. Domenica 17 agosto si corre sul tracciato “amico” di Zeltweg il Gran Premio d’Europa. Piove a dirotto e fa freddo. E’ una strana e tragica domenica. Nel warm-up della mattina, la March numero 28 del team Penske guidata dalla giovane promessa Mark Donohue finisce disastrosamente fuori pista per lo scoppio di un pneumatico. Il crash è terrificante e non lascia scampo al giovane pilota americano che entra in coma. Vi rimarrà tre giorni prima di andarsene per sempre. Sulla pit-lane il clima è plumbeo dentro e fuori gli abitacoli. A tenere compagnia ai piloti in griglia ci sono preoccupazione, rabbia e cattiveria. Brambilla parte dalla quarta fila e, all’abbassarsi delle bandiere, inizia una straordinaria ed emozionante rimonta andando a prendere e sfilando tutti i migliori, uno per uno, Hunt, Pryce, Mass, Peterson e Lauda. Vittorio guida come un mago, ammaestrando il diluvio, guadando rivoli d’acqua e pozzanghere per ventinove lunghi giri, prima dell’inevitabile sospensione della gara. L’abbassarsi della bandiera a scacchi fu una specie di liberazione, la fine di un teso incubo. La gioia è incontenibile e il pilota brianzolo si lascia andare alla tensione e all’entusiasmo. Alza ambedue le braccia dal volante e perde il controllo della March distruggendo il musetto sul guard-rail. Quella gara, quella vittoria ottenuta, a trentotto anni suonati, dall’alto di un’esaltante e temeraria rincorsa a Lauda e Hunt, quei sorpassi rabbiosi e di potenza, azzardati nel suo esuberante stile, con testarda determinazione e decisione, rimangono, ancora oggi, il suo testamento, il suo più vivido lascito, quello di un pilota autentico e aggressivo con un cuore gigantesco. Proprio questo, purtroppo, lo tradì, nella sua casa di Lesmo, il 26 maggio 2001, a pochi metri dalle due più belle e veloci curve di sempre. Il suo autodromo, la sua città e la sua gente lo ricordarono con affetto nel maggio dello scorso anno, dedicandogli una piazza e un intera giornata sul filo dei ricordi, delle sue vetture e della sua straordinaria epopea.