Once in a lifetime: Jim Garrison

Il 20 novembre 1921 nasce a Knoxville, Iowa, Earling Carothers Garrison, di professione avvocato e procuratore federale. A lui e alla sua testarda voglia di verità si deve la clamorosa riapertura del caso dell’assassinio di J.F. Kennedy. Garrison impegnò infatti se stesso e il proprio Ufficio Distrettuale in una lunga ed approfondita inchiesta che ebbe il merito di scoperchiare buona parte dei depistaggi, delle coperture, delle sparizioni e delle pressioni di importanti agenzie governative, provando, nei fatti, il loro diretto coinvolgimento nel più inquietante episodio politico della recente storia degli Stati Uniti d’America.

Una vita dedicata alla verità

Jim, nome che assunse sin dai primissimi anni sessanta, aveva consacrato tutta la propria esistenza alla ricerca della verità. Gli insegnamenti familiari, i fondamenti di diritto, le sentenze della Corte Suprema e le tensioni ideali lo spinsero verso una precoce e fortunata carriera. Come molti giovani di quella generazione, Garrison si lasciò stregare dalle idee progressiste di Kennedy e dalla modernità del sogno di una “nuova frontiera” da conquistare. Sull’onda di quegli entusiasmi corse per il titolo di procuratore generale ottenendo la fiducia dei cittadini di New Orleans. In quegli anni burrascosi Florida, Texas e Louisiana si trovarono al centro di grandi tensioni internazionali e di un’intricata mappa geopolitica. Le tensioni della Guerra Fredda trasformarono gli stati del sud in una sorta di trafficato confine. Nell’ambito di una più vasta strategia interdittiva messa a punto nei confronti di Cuba e Fidel Castro, New Orleans divenne, al pari di Miami, una sorta di centrale operativa a cielo aperto offrendo rifugio a molti esuli cubani e fungendo da catalizzatore per gli interessi singolarmente convergenti di mafia, agenzie governative, pezzi rilevanti di apparati militari e il sottobosco del crimine organizzato. Garrison inciampò quasi per caso nell’onda lunga di una delle tante operazioni clandestine che fecero da sfondo al barbaro omicidio del Presidente degli Stati Uniti nel pallido sole di una mattina di fine novembre del 1963 a Dallas, nel cuore del Texas. Jim comprese sin da subito la proporzione dello sprofondo, intuì ogni conseguenza e, ciò nonostante, decise che quella pista andava seguita ad ogni costo.

Cospirazione

Grazie ad un grande fiuto, Jim aprì l’inchiesta del secolo con l’obiettivo di fare finalmente luce su mandanti ed esecutori materiali dell’assassinio di J.F.K.. Garrison dovette combattere contro tutto e tutti, contro parte della propria Procura Distrettuale, contro alcuni membri del suo staff, contro la quasi totalità dei media e fette crescenti di opinione pubblica che vide in lui uno zelante e scaltro opportunista. Dopo una lunga istruttoria, in un isterico crescendo di attenzioni mediatiche, solo contro tutti gli apparati statali, sotto costante minaccia di morte, nel 1967 il procuratore di New Orleans Garrison formulò l’atto di accusa nei confronti di Clay Shaw. In gioco non c’era solo il  destino di un chiacchierato e discusso uomo d’affari, da sempre vicino alla CIA, ma la sciagurata certezza dell’esistenza di un complotto ordito, ai danni del Presidente, da diversi settori dello Stato Federale. Garrison accusò pubblicamente Shaw di cospirazione nell’assassinio del presidente e lo trascinò in tribunale, davanti a una giuria popolare, per un dibattimento che durò tre lunghi anni, nel corso del quale emersero, udienza dopo udienza, tutte le incredibili lacune delle indagini, le fantasmagoriche teorie del famoso “proiettile magico”, scaturita dalla fervida fantasia dell’avvocato Arlen Specter per smentire la presenza di più cecchini sulla scena del crimine, e le clamorose sviste del rapporto stilato, in fretta e furia, dalla Commissione Warren. Quello di Garrison rimase l’unico procedimento giudiziario relativo all’assassinio di JFK. Alla fine, Clay Shaw venne assolto dalla giuria che, nonostante quintali di prove, dichiarazioni e documenti, impiegò sbrigativamente solo tre quarti d’ora per raggiungere il verdetto.

“Destiny Betrayed”

Per tutto questo Garrison pagò un prezzo altissimo. Per tre anni fu, infatti, ininterrottamente dipinto da tutta la stampa nazionale come uno spregiudicato arrivista senza scrupoli disposto a tutto pur di farsi pubblicità, anche di manipolare i testimoni e a rovinare la vita ad un onesto cittadino. Influenti testate nazionali arrivarono ad accusarlo di essere addirittura una spia al soldo del KGB e della mafia. Tentarono di ostacolare anche la sua successiva candidatura e la rielezione, che avvenne puntualmente, nonostante fossero ormai diversi i procedimenti che pendevano a suo carico. Il giornalista James DiEugenio, autore del libro “Destiny Betrayed”, ha studiato tutta la documentazione governativa ora finalmente disponibile, trovando piena conferma del sabotaggio consumato ai danni di Garrison da varie agenzie e istituzioni. I documenti ottenuti confermano lo stretto legame di Shaw con la CIA e tutte le pressioni dei Servizi di intelligence sui giudici federali per impedire loro di collaborare all’inchiesta. Le ricerche di DiEugenio hanno dimostrato che Garrison aveva visto giusto arrivando davvero ad un passo dalla verità. Ma lui, purtroppo, non è vissuto abbastanza per godere di questo conforto e stringere tra le mani i documenti e le prove che, all’epoca, gli furono negate. Garrison morì nell’ottobre del 1992, un anno dopo l’uscita nelle sale cinematografiche del film che Oliver Stone imperniò sulle sue memorie ed in cui fece pure una piccola apparizione nelle vesti, ironia della sorte, di Earl Warren. Se ne andò comunque sereno e in pace, contento di aver sempre svolto sino in fondo il proprio dovere e di aver contribuito a fare del suo Paese un posto migliore.