Once in a lifetime: Pietro Bordino

Il 22 novembre 1887 nasce a Torino Pietro Bernardo Giuseppe Bordino, intrepido conduttore di vetture sportive. Nei primissimi anni del Novecento per un pilota di auto da corsa tre cose su tutte erano importanti: essere veloce, arrivare primo e, soprattutto, avere stile. Bordino incarnava singolarmente tutte e tre queste qualità.

Stile e compostezza

Bordino era sinonimo di stile, temerarietà e signorilità. Mentre gli avversari lottavano strenuamente con le leggi della fisica e della gravità, aggrappandosi al volante sino a intraversare le vetture sbandando ben oltre i limiti della carreggiata, lui domava signorilmente la velocità piegando curve con decisione ed assoluta maestria, sciogliendo angoli, inseguendo profili docili e discese lievi, assecondando ogni asperità di strade bianche e sassose. Questa sua proverbiale pulizia, questa fluida linearità di traiettorie, quelle curve prese con millimetrica abilità stregarono l’immaginario collettivo dei tifosi. Pietro divenne una sorta di attrazione irrinunciabile. Per lui si muovevano le massaie, si fermavano le fabbriche e e le campagne. Lo andavano tutti ad aspettare in fondo ai rettilinei, in prossimità di qualche svolta secca e cieca. Correvano a piedi o in bicicletta, si sistemavano per ore sul ciglio della strada, con sprezzo del pericolo incombente, pronti a portarsi via un filo di felicità e di quella crudele adrenalina, pronti a respirare l’urlo polveroso delle sue gomme, a caccia di brividi, velocità e, soprattutto, di una delle rinomate “curve alla Bordino”.

Uno scherzo del destino

Pietro alle corse ci era arrivato per un vezzo del destino. Il mondo delle quattro ruote e della velocità gli si parò innanzi del tutto casualmente allorchè, ancora ventenne, si imbatté nel cortile dei Fratelli Ceirano in due aitanti e promettenti piloti scavezzacollo. Fu, infatti, colpa di Felice Nazzaro e Vincenzo Lancia se Bordino si avvicinò alle corse e a quel rude universo di volanti e manometri. Felice e Vincenzo non si riveleranno essere solo due amici, ma anche due ispirati mentori. Quella singolare alchimia, fatta di stima e affinità, tornerà spesso a fare capolino nei momenti culminanti della vita di Bordino. Sarà infatti grazie al fiuto e all’intuito di Lancia se Pietro, giovanissimo apprendista del reparto motori della Fiat, verrà invitato a salire al suo fianco su una vettura da corsa. In quel mondo pionieristico le auto si guidavano sempre in due, soprattutto in gara. Non certo per una vicenda di bilanciamenti, quanto piuttosto per poter provvedere in tempo reale ai tiri mancini della strada effettuando così rapidi interventi e riparazioni. In fatto di meccanica il giovane Bordino non ha rivali e compensa la mancanza di esperienza con un formidabile sesto senso. Pietro, come molti dei piloti di quella prima generazione, conosce perfettamente la meccanica di quelle macchine ingombranti al punto che pare avvertire i problemi qualche attimo prima che si manifestino. Pietro diventa un perfetto copilota. A fianco di Lancia partecipa a tutte le grandi kermesse dei primi anni del Novecento, dalla Targa Florio al Gran Prix de France. Poi, sul rettifilo di partenza di una gara, il caso gli presenta anche Ettore Bugatti. Ne nasce un feeling profondo come i cilindri di quei potenti motori. Bugatti intuisce le sue potenzialità e gli promette un volante. Bordino non ha più remore. Ha definitivamente compreso che la strada è tracciata e decide di accantonare le chiavi inglesi per diventare un pilota. Il destino si chiama Fiat 24 HP, alla cui guida Pietro vince la sua prima gara, una competizione in salita nei dintorni di Parigi. E’ il 1910 e il futuro sembra corrergli incontro a tutta velocità.

Il “diavolo rosso”

Pietro viveva per la corsa e la sfida. La sua carriera fu fulminante e, nel giro di pochi anni, lo portò a gareggiare al volante delle auto più potenti sulle strade di montagna, sulle piste autostradali, sui primi circuiti e sugli ovali americani. Nel 1911 a Brooklands, nel Surrey, al volante della mostruosa Fiat “Mefistofele” da 300 cavalli ottiene il record sul miglio raggiungendo la straordinaria velocità di 195 chilometri orari. Pietro corre sempre. Si aggiudica molte gare, anche e soprattutto al di là dell’Atlantico, in California, dove viene subito soprannominato “Diavolo Rosso” per via di quel vistoso maglione magenta che indossa in gara e che lo rende, agli occhi di folla e avversari, ancora più speciale e temibile. Rimangono leggendarie le sfide che ingaggia  sul filo della polvere e dei secondi con Bugatti, Nuvolari, De Vizcaya, Nazzaro e Ascari, Antonio, il padre di Alberto.

Lui e Nuvolari

La sua incredibile corsa finisce però prematuramente il 16 aprile 1928 durante le prove del Gran Premio di Alessandria: un cane gli attraversa improvvisamente la strada e lui finisce per perdere il controllo della sua Bugatti finendo nelle acque del Tanaro dove muore annegato. Solo tre settimane prima il suo duello con l’amico Nuvolari nella pioggia e nel fango nel circuito veronese del Pozzo aveva entusiasmato stampa e appassionati. Bordino era arrivato dietro al pilota mantovano che lo aveva passato di prepotenza e se l’era lasciato alle spalle. Pietro non l’aveva presa bene ed era a caccia di rivincite. Pietro aveva avvertito il crudele soffio del tempo che passava e che veniva a chiudere i conti. Tra i due esisteva da tempo un rapporto vero, che andava al di là dell’acceso agonismo che caratterizzava ogni loro prova. La gara del Pozzo aveva lasciato il segno ed il podio era sembrato a molti cronisti il simbolico suggello di una staffetta generazionale. Alla notizia della sua inattesa e tragica scomparsa, Nuvolari abbandona l’officina e corre ad Alessandria  per dargli l’ultimo saluto. Il “Mantovano Volante” deciderà di onorarne la memoria correndo quella gara al volante del suo stesso modello di Bugatti. Vincerà con un netto distacco e gli dedicherà il trofeo.