Once in a lifetime: Fernando Pessoa

Il 30 novembre 1935 muore a Lisbona Fernando Pessoa, poeta e scrittore. La sua vita rimane ancora oggi avvolta da una fitta cortina di mistero, quella stessa da cui emersero i celebri eteronimi a cui diede voce, corpo e anima tra le pagine delle sue opere. Nel corso della sua avventura letteraria, Fernando costruì, infatti, un intricato dedalo frequentato da diversi personaggi di fantasia. Con nomi sempre diversi – Alberto Cajero, Alvaro de Campos, Ricardo Rei erano quelli più celebri – Pessoa abitò una molteplicità di credibili esistenze parallele dalle diverse fisionomie e dalle più disparate esperienze, idee e manie, un’umanità alternativa che, alla fine, contò più di cento identità narrative, strettamente legate tra loro da un continuo gioco di sdoppiamenti, sovrapposizioni, reincarnazioni e rapide dissociazioni. Quello di Pessoa fu un mondo incredibile che rimase sempre in perfetto equilibrio tra carta e sogni, realtà e immaginazione. Quell’universo complesso e le sue trame avrebbero fatto impallidire anche la più intricata cosmogonia della contemporaneità televisiva, derubricando gli autori di “Lost” ed i loro dannati spostamenti nel tempo al rango di dilettanti.

Un geometrico e variabile universo di eteronimi

Quello stravagante e geometrico universo significò al contempo la sua fortuna e la sua sventura. Come in una giostra, un gioco di specchi o, meglio ancora, un sistema calibrato di scatole cinesi, Pessoa ha dato spazio a tutte le sue poliedriche personalità – 127 quelle stimate – celando nei profili di ciascuna di esse un particolare della sua personale visione del mondo, le sue poliedriche tensioni interiori e una forte propensione per la riflessione filosofica e l’esoterismo. “L’origine mentale dei miei eteronimi risiede nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni, fortunatamente per me e per gli altri, si sono mentalizzati in me, voglio dire che non si manifestano nella mia vita pratica esteriore e di contatto con gli altri. Esplodono verso l’interno, e io li vivo nella mia solitudine.”

Al cospetto di dubbi e ripensamenti

Pessoa era un animo irrequieto e curioso, aperto e affabile. Non abitava affatto oscure soffitte come vuole la leggenda, ma amava piuttosto frequentare i circoli culturali più chiacchierati di Lisbona. Pessoa era la sua città, ne interpretava lo stile, ne incarnava il passo più leggero e curioso, respirava a pieni polmoni le atmosfere decadenti, le diverse vocazioni e le frontiere nascoste. Fernando si occupava non solo di lettere ma anche di economia. Amava la discussione e la polemica, il distinguo e la puntualizzazione, il gioco e il calambour. Pessoa era uno spirito brillante affascinato dalle vite altrui, dalla contagiosa arte dell’immagine, dalla fotografia e dal linguaggio pubblicitario. Prendeva quella sua costruzione letteraria come fosse una sfida alla noia, come un instabile e fragile castello di carte, il geometrico incastro di pedine da muovere a piacimento tra le pagine dei suoi racconti al cospetto del destino e delle avversità, del grottesco e della bellezza. Quel compiacimento poetico sposava una prosa sottilmente pungente, ironica e fatale. Quel suo celebre distacco emotivo profumava di Atlantico e di Inghilterra, terra letteraria che amava ed a cui si era avvicinato nel corso della lunga permanenza nel continente africano. Pessoa era un abile commerciante, una persona colta, attenta ed eccentrica, cordiale e irrequieta, colpita dalle avanguardie espressive almeno quanto dai grandi scrittori classici. Si lasciava facilmente affascinare dalle novità anche se poi stentava a trovare continuità d’interesse. Trascorse la sua intera esistenza a cercare di governare un mare in tempesta, pieno di dubbi e ripensamenti, al punto da mettere in discussione tutti i valori, anche quelli più saldi. Furono proprio quest’incertezza del quotidiano ed una più generale attitudine misterica a liberare quel mondo interiore plurale e fatto di fatali incroci. “Non ho principi. Oggi difendo una cosa e domani un’altra. Giocare con le idee e con i sentimenti mi è sempre parso il destino più bello”.

Uno scrittore che “si è voluto postumo”

Per questa febbrile tensione e, soprattutto, per i temi lirici toccati dai suoi numerosi lavori, Pessoa rimane una personalità straordinariamente enigmatica. La sua voce, rimasta ostinatamente ai margini del circuito letterario e ben mimetizzata da una monotona routine da impiegato, guida ancora oggi il lettore attraverso la percezione del dolore e dell’assurdo, della solitudine e di un senso del grottesco che sconfina spesso in una liquida e apparente indifferenza. Dopo la sua morte, avvenuta a soli quarantasette anni per cause legate allo sfrenato alcolismo in cui era precipitato, emersero più di 27mila testi sconosciuti: poesie, frammenti di racconti e progetti narrativi che testimoniano la grande vitalità di un gigante della letteratura moderna che, come scrisse Zanzotto, “si è sostanzialmente voluto postumo”. Sulla sua lapide mani pietose incisero, accanto al suo, i nomi dei suoi eteronimi più frequentati, quelli di Caeiro, Reis e Campos. “Lui morirà ed io morirò. Lui lascerà l’insegna, io lascerò dei versi. A un certo momento morirà anche l’insegna, e anche i versi. Dopo un po’ morirà la strada dov’era stata l’insegna, e la lingua in cui erano stati scritti i versi. Morirà poi il pianeta ruotante in cui è avvenuto tutto questo”.