Once in a lifetime: Charly Gaul

L’8 dicembre 1932 nasce a Pfaffenthal, in Lussemburgo, Charly Gaul, di professione ciclista. La specialità di Charly era la salita: amava le più ripide e impossibili, quelle dalle pendenze più vertiginose e assassine, dove il nastro d’asfalto piegava mai, proseguendo diritto verso la cima senza nemmeno il conforto di un maledetto tornante dove far rifiatare i polmoni.

L’etica dello scalatore

Charly Gaul era uno scalatore, non un grimpeur. Alla lunga sequela di scatti assassini degli esteti della verticale, Gaul preferiva infatti il passo costante e inesorabile della potenza. Era un mago della progressione, un maestro indiscusso delle pendenze, capace di tenere e reggere lo stesso ritmo per centinaia di chilometri amministrando al meglio le proprie energie mentre gli avversari cadevano sfiancati, l’uno dopo l’altro, ai bordi della strada. Charly era il più bravo. Quelli come lui si contavano sulle dita di una sola mano. Gaul associava il coraggio all’intelligenza tattica. Era bravissimo a cambiare rapporto ogni volta che la strada prendeva a imbizzarirsi ed a salire, fantastico, addirittura, a misurare le andature quando la tappa si consegnava ad una successione di salite e discese. Lo battezzarono “l’angelo della montagna” perchè quando c’era da soffrire per resistere alla vertigine della pendenza lui metteva le ali, spuntando regolarmente dal centro del gruppo macinando progressivamente metri su tutti gli inseguitori.

Un ciclista completo

Ma Gaul in realtà andava forte ovunque, anche in pianura. Tra il 1956 e il 1959, si aggiudica il Tour e per ben due volte anche il Giro d’Italia, sbaragliando la spietata concorrenza di Magni, Favero, Géminiani, Baldini e Anquetil. Come era accaduto a Coppi, il ciclismo lo aveva strappato ad un onesto lavoro di garzone. Lavorava con la bicicletta consegnando merce a clienti lontani chilometri. Charly aveva un fisico minuto e secco, nervoso e reattivo. Tra quei fasci muscolari celava incredibili riserve di energia. Piacque subito alla gente, per via di quella resistenza alla sforzo, per quell’incedere severo e costante e, soprattutto, per le sue formidabili rimonte. Alla Grande Boucle del 1958 recuperò un quarto d’ora di ritardo a Raphael Géminiani. Al Giro dell’anno seguente stroncò la resistenza del divo Anquetil maltrattandolo lungo le rampe che salivano al Piccolo San Bernardo. Le sue furono imprese davvero straordinarie e solitarie, ottenute senza l’apporto di gregari eccellenti o di una grande squadra. Gaul lottò sempre da solo contro il destino, le intemperie e le avversità. Continuò a farlo anche una volta sceso dai pedali. Charly si mise a correre come fosse su qualche passo alpino. Seminò quanto gli era possibile, mogli, responsabilità e impegni. Si arrese solo all’alcol, che ne minò gravemente il fisico, e alla morte che lo colse solo due giorni prima di compiere settantatre anni.

La leggenda della “Merano – Bondone” del 1956

Il suo nome si lega indissolubilmente ad una della tappe più drammatiche e leggendarie del Giro, la Merano – Monte Bondone dell’8 giugno 1956. Quel Giro era stato sin lì dominato da Pasquale Fornara. Charly non aveva avuto molta fortuna ed era in grave ritardo di condizione. Inoltre, la corsa di quell’anno non si adattava molto alle sue caratteristiche. Charly navigava a vista nel gruppone degli inseguitori. In classifica generale era solo ventiquattresimo con un rilevante distacco dalla maglia rosa, più di 17 minuti, un’eternità. La ventunesima tappa in programma quel giorno di incerta estate prevede un nastro d’asfalto di oltre 24o chilometri composto da un filotto di impegnative salite e discese con ben quattro passi da scalare in successione, Costalunga, Rolle, Gobbera, il mitico Brocon sullo sterrato, prima di precipitare su Trento e attaccare infine i milleseicento metri del Bondone. L’estate decide di ritirarsi ed il tempo si fa improvvisamente invernale: piove, tira vento e in quota ci sono neve e gelo ad attendere i ciclisti. Nevica già sul Rolle. Nella ripida discesa Gaul rompe i freni e rischia di finire in un burrone. Lo salvano il mestiere e un colpo di fortuna sotto forma di paracarro. La sua fuga è questione di pochi chilometri. Nel pieno di una bufera di neve sul Brocon, Gaul ingrana un rapporto impossibile e stacca Bahamontes e tutti i compagni lasciandosi alle spalle disperazione, panico e caos. Il mitico Guerra, indimenticato campione e direttore sportivo del suo team, lo attende sul passo dove Gaul arriva ghiacciato e solitario. Learco, vecchia volpe delle strade, lo ferma, gli infila indumenti asciutti e lo lancia giù per la discesa. Quella mossa si rivelerà decisiva perchè Charly dimostrerà di soffrire il gelo molto meno dei suoi colleghi. La tappa è un’apocalisse. Degli 87 cicilisti partiti solo 44 arriveranno al traguardo, quasi tutti stremati e al limite delle forze fisiche. La salita al Bondone è un racconto epico, una novella degna delle leggende delle dolomiti. Charly tiene il suo ritmo faticando a rimanere in sella su un fondo stradale ormai coperto da un soffice strato bianco. Gaul taglia per primo il traguardo sotto una gelida nevicata, quasi assiderato e in assoluta solitudine. All’arrivo il suo fido meccanico e un poliziotto devono tirarlo giù di peso dalla bicicletta per immergerlo in una vasca d’acqua bollente. Gaul si riprende a distanza di parecchie ore. Solo allora scoprirà di essere la nuova maglia rosa. Il secondo classificato, Alessandro Fantini, arriva sul traguardo con 8 minuti di ritardo mentre ad oltre 12 transita un eroico Fiorenzo Magni che aveva retto il manubrio con una mano sola per via di una frattura alla spalla dolorosamente contenuta stringendo un laccio tra i denti. La maglia rosa Fornara crolla al suolo e si ritira esausto nei pressi di Trento. In quelle incredibili nove ore di corsa Charly risale così dal ventiquattresimo posto al vertice della classifica. Il suo primato resisterà sino alla fine, sino a Milano dove si aggiudicherà, a soli ventitre anni, il suo primo Giro d’Italia entrando direttamente nella storia del ciclismo.