Once in a lifetime: John Cassavetes

Il 9 dicembre 1929 nasce a New York John Cassavetes, di professione attore e regista cinematografico. Cassavetes è stato il cinema indipendente americano. Il suo modo di girare pressoché in diretta, senza filtri e set preparati, con dialoghi serrati e improvvisati, lontano anni luce dalle complesse produzioni degli Studios, ha aperto la strada a un modo nuovo di concepire il mezzo cinematografico. John ha fatto da apripista, ha avuto il merito di trovare una nuova strada facendo sognare un’intera generazione di giovani. Dopo una promettente carriera di attore, John, sul finire degli anni Cinquanta, si caricò in spalla la camera per abbattere tutte le regole e le convenzioni regalando al cinema una nuova eccitante frontiera.

Ai margini di tutto

Il cinema di Cassavetes fu assolutamente rivoluzionario. I suoi primi lavori rimangono ai margini dei trucchi degli sceneggiatori e delle alchimie del montaggio per esaltare invece la presenza e la vena lirica dei suoi molti attori “feticcio” (da Ben Gazzara a Peter Falk passando per la moglie Gena Rowlands) a cui chiedeva coinvolgimento totale, partecipazione emotiva, carismatica presenza e brillante recitazione. Cassavetes ha preso a pugni il mainstream dell’epoca. La sua opera prima, “Ombre”, girato sul finire degli anni cinquanta, venne finanziata grazie al pubblico nell’ambito di una campagna pubblica sulle pagine dei quotidiani e alla radio. Cassavetes chiese supporto ad amici, appassionati e ammiratori in una sorta di crowdfounding ante litteram. Come recita la didascalia iniziale, “Ombre” è un “saggio collettivo di recitazione e di regia”. Il film giustizia il vecchio vocabolario cinematografico per raccontare in diretta l’inquieto universo familiare e le complesse relazioni tra tre giovani fratelli afroamericani alle prese con le attese, le aspettative, gli affetti e il crudo orizzonte della quotidianità. E’ un’opera di straordinaria modernità che ha avuto il grande merito di influenzare molte delle derive contemporanee, dal cinema europeo e francese ai grandi registi indipendenti, da Jim Jarmusch a Wim Wenders.

La nascita di un paradigma stilistico

Quel suo modo di girare, senza posa, dinamico e dentro la scena, con un continuo succedersi di campi strettissimi, sfocati e sgranati nel loro bianco e nero in economia, ha fatto storia diventando in breve una sorta di paradigma stilistico, da cui peraltro John prese sin da subito le distanze. Cassavetes, infatti, rifiutò sempre con determinazione il ruolo di icona, al punto da arrivare a criticare e rivedere alcune delle sue stesse scelte, anche quelle più coraggiose e radicali. Finì così che Cassavetes volle rigirare alcune sequenze perché troppo fredde, intellettuali e prive di sentimento. Più che un regista, John era un autentico visionario, un artigiano della macchina da presa. Odiava gli elogi almeno quanto i rigidi formalismi o le leziosità stilistiche e adorava le persone franche al limite della spiacevolezza privilegiando sempre l’emotività, la spontaneità e la verità.

Un carattere geniale, ruvido e scontroso

Oltre che per l’indiscusso talento John divenne famoso anche per un carattere difficile, ruvido e scontroso. Narrano le cronache che per una vicenda di libertà creativa prese addirittura a pugni il produttore Stanley Kramer, rimediando una serie di denunce e l’ostracismo dichiarato degli Studios. Furono quel suo modo di vivere intensamente il cinema e la cura maniacale con cui seguiva tutte le fasi della lavorazione a farne un personaggio scomodo per il lucente mondo di Hollywood. Faticò spesso a realizzare i progetti, dovendo rassegnarsi a fare i conti con qualche malevolo pregiudizio e una malcelata diffidenza. Di tutto questo, John non se ne ebbe mai a male nella convinzione che solo al pubblico toccasse giudicare i suoi lavori. A quel patto ideale non venne mai meno. John chiedeva il massimo da tutti e pretendeva qualcosa che non stava scritto nei copioni e nelle sceneggiature. Non spiegava mai agli attori come avrebbero dovuto interpretare le scene, né li interrompeva perché stavano uscendo dal testo, ma piuttosto raccontava loro i personaggi per ore e giorni, nella speranza di fargli sentire quel ruolo, di calarli in quelle atmosfere e di fargli provare le medesime emozioni che voleva portare sullo schermo. “Non penso mai a me stesso come regista, penso di essere uno dei peggiori registi esistenti. Io non conto, non faccio nulla. Sono responsabile del film nella misura in cui ne sono responsabili tutti gli altri. Per me i film hanno poca importanza. È la gente che è più importante”