13 Dic Once in a lifetime: Pierino Prati
Il 13 dicembre 1946 nasce a Cinisello Balsamo Pierino Prati, di professione calciatore. Per dieci lunghi anni Pierino “la Peste” è stato una delle più temibili punte del campionato italiano, il sogno di ogni allenatore ed ogni squadra di Serie A. Prati sapeva interpretare il ruolo dell’attaccante in maniera eclettica, muovendosi bene sia come prima che come seconda punta dietro le linee avversarie. Era agile e tecnico, potente e formidabile nel gioco aereo. Prati non dava mai riferimenti e, soprattutto, si portava a spasso il difensore per tutto il fronte offensivo regalando opportunità straordinarie ai compagni di reparto. Era un centravanti che giocava e, soprattutto, che faceva giocare. Per questo era considerato il naturale complemento di Rivera, una sorta di sua naturale estensione, il suo piede sinistro dal momento che quasi ogni suo gol era propiziato dai millimetrici lanci del Golden Boy.
Un fuoriclasse naturale
A giocare a quel modo, sempre sul filo del rasoio, sfidando il fuorigioco e spaziando su tutto il fronte avversario per puntare il difensore in stretto dribbling e cercare, nei due passi successivi, l’angolo più lontano della porta erano veramente in pochi. Lui, Zigoni, forse Casarsa. E la storia ebbe modo di mostrarsi riconoscente. Dal rientro dal prestito di Savona aveva dovuto sgomitare per conquistare un posto in squadra. Quel Milan di Rocco annoverava una prima linea fatta di fuoriclasse del calibro di Hamrin e Sormani. Ma Pierino cominciò a segnare e non smise più. Alla fine della stagione aveva totalizzato 15 reti in 18 partite. Aveva grandi capacità e una naturale attitudine per il gol, soprattutto per quelli più acrobatici e spettacolari. I fantastici cross di Rivera avevano trovato in lui un formidabile terminale offensivo. Amava le cose poco ortodosse ma tremendamente efficaci. Quando si alzava in elevazione al centro dell’area avversaria riusciva infatti sempre a raggiungere la sfera nei modi più improbabili. Fu questo funambolico opportunismo a farne una pedina fondamentale per l’attacco rossonero. Alle sue gesta si entusiasmò anche il sommo Brera che prese a raccomandarlo ad amici e cronisti, persino a Valcareggi che sedeva sulla rovente panchina della nazionale azzurra per una delle più belle stagioni di sempre. Il “Grande Padano” aveva riconosciuto in lui la sregolatezza che faceva saltare il banco, vi leggeva la ribellione al dogmi della modernità. Prati divenne così un’inamovibile colonna dello schieramento offensivo di Rocco. Pierino era il capellone, l’ala sinistra veloce e ribelle, l’uomo della finale di Coppa dei Campioni contro l’Ajax, quello inviato dalla Provvidenza ad affondare con una fulminante tripletta la squadra del giovane Johan Cruyff, il futuro “profeta del gol”. Pierino fu anche la prima vittima ad immolarsi nell’incredibile caccia all’uomo organizzata dall’Estudiantes nella finale di Coppa Intercontinentale. Quella finale di ritorno Prati la giocò solo per qualche minuto: rimase in campo giusto il tempo di essere duramente colpito da un micidiale calcio alla schiena del portiere Poletti e, quindi, da una violenta testata di Suárez che lo atterrò e lo spedì negli spogliatoi dove riprese conoscenza solo un’ora e mezza più tardi, a partita finita, a coppa conquistata.
Uno strepitoso palmares
Con il Milan del “Paron”, di Rivera, Trapattoni e Rosato, Prati ha vinto praticamente tutto: due campionati, due Coppe Italia, due Coppe delle Coppe, una Coppa dei Campioni e la sanguinosa Intercontinentale. Con la maglia della nazionale conquistò anche un Europeo e mancò per poco la finale di Coppa del Mondo nel 1970 in Messico, per il solo spazio di una cortissima panchina dove finì per accomodarsi a fare il secondo dell’inarrivabile Gigi Riva. Ancora oggi, per molti di noi, Prati è il sapore di quel calcio ormai lontano, di quelle gradinate gremite al’inverosimile, delle magie dei grandi fuoriclasse, dei bigonci scoloriti e della nebbia ghiacciata che imprigionava la parte in ombra del prato di San Siro trasformandola in un’infida lastra bianca di ghiaccio. Prati si è dimostrato un vero campione, anche e soprattutto, fuori dal campo, per le sue idee, i suoi valori e il prezioso lavoro di scout nei settori giovanili. Nonostante i trofei ed i successi raggiunti con la maglia di Milan e Roma, Pierino rimase sempre con i piedi per terra, consapevole della fortuna che aveva avuto ma anche della grande responsabilità che deriva da tanto smisurato talento. “Solo un giocatore su 40.000 arriva ad alti livelli, e questo dato sfugge anzitutto ai genitori. Chi ha un figlio di sette-otto anni tesserato per una società importante crede di aver fatto un investimento in banca, ma così il pallone smette di essere un gioco. L’obiettivo del calcio giovanile non dev’essere produrre campioni, ma formare attraverso lo sport. Il calcio per me è stato un’avventura bellissima, che mi ha aiutato a crescere regalandomi infinite soddisfazioni. E il riconoscimento più grande non sono i trofei, ma la stima dei tifosi, anche di altre squadre, l’affetto e il calore di chi mi incontra per strada e dopo tanti anni dal mio ritiro mi stringe ancora la mano come se avessi smesso di giocare una settimana fa”.