Once in a lifetime: Italo Svevo

Il 19 dicembre 1861 nasce a Trieste Aron Hector Schmitz, al secolo Ettore Schmitz, ovvero Ettore Samigli, in arte molto più sommariamente Italo Svevo, di professione scrittore e drammaturgo. Svevo rappresenta e riassume tutte le tensioni letterarie che hanno agitato il secolo della modernità. Italo ha abitato il confine, ha navigato in acque incerte ma promettenti, ha attraversato mari sconosciuti, sempre con eleganza e cortesia, lucidità e serena autorevolezza.

Trieste a cavallo delle crisi della borghesia e di quella dell’Impero

Nella sua inquieta riflessione trovano spazio molte cose preziose e straordinarie: Trieste innanzitutto, il mobile orizzonte del confine orientale, la crisi della borghesia, la frontiera culturale, la psicanalisi e l’indagine del proprio io, il crollo della centralità austro-ungarica, il dissolversi del mito romantico, l’inconsistenza del vivere quotidiano e, soprattutto, il senso profondo di una patologica sconfitta. Svevo non celebra vittorie ma scava tra le macerie dell’animo umano, facendosi spazio tra solitudine ed estraneità. Ma il suo è solo all’apparenza un viaggio privato e riservato. Perché, in realtà, da quelle profondità emergono radici storiche e ragioni di stato, gli incroci delle nuovi arti espressive e la ricerca introspettiva, l’insofferenza rispetto alle strutture burocratiche e le fascinazioni del progresso. Nelle pagine delle sue opere i sofferenti antieroi respirano impulsi oscuri e contraddizioni, tra solitudine e alienazione, consapevolezza e incapacità di reagire. Attraverso le loro debolezze, Svevo racconta l’ansia quotidiana di ordinarie vittime del caso e delle convenzioni sociali, descrive il loro fatale senso di immobilismo che da smarrimento scivola spesso nel cono d’ombra di una sospetta indulgenza.

Un’anima di frontiera, figlia di due mondi culturali

Italo rimarrà sempre un’anima di frontiera, figlia di due mondi e di due diverse culture. Di questa duplicità non solo ne porterà sempre fieramente il segno, ma ne rimarrà sedotto allo stesso modo di molti protagonisti di quel periodo. Tutta la sua esistenza respirerà questa singolare atmosfera, nei momenti più alti come in quelli più grigi. Le diverse esperienze lavorative, le svolte del destino, i lutti, le frequentazioni culturali, l’impatto degli studi di Sigmund Freud e gli insuccessi letterari, l’amicizia con Joyce e le tensioni politiche costituiscono un fantastico plot per raccontare anni di storia e drammatica mobilità. La sua scrittura sembra un perfetto trait d’union tra pensieri contigui e orizzonti lontani. Svevo trattiene e rielabora le suggestioni filosofiche di Nietzsche e Schopenhauer, le coniuga al cospetto dell’eterno dualismo tra azione e passività, nella radicata convinzione della nostra fatale inconsistenza e fragilità. Nelle sue tracce Italo restituisce l’incapacità e lo smarrimento, l’imperfezione e il senso di profonda inadeguatezza rispetto all’arrogante pretesa di governare gli eventi. I suoi libri più celebri scavano piccole e grandi storie, mescolando registri innovativi e classici, tra finti memoriali e malati immaginari, consegnandoci un lascito intellettuale di grande modernità.

Una narrazione moderna e ironica

I suoi lavori sono lo specchio della profonda crisi europea, la stessa che si legge anche nelle pagine di Musil, Kafka, Mann, Pirandello, Joyce e Proust e che deflagrerà di lì a poco nei due grandi conflitti mondiali, come pure dell’irrisolto conflitto tra prassi e teoria, ragione e sentimento. Grazie al lucido registro di una narrazione lieve e diretta, Svevo denuncia il drammatico distacco degli apparati e l’ipocrisia della società con armi potenti e “improprie” come quelle dell’ironia, del sorriso e dell’autoanalisi. “Per la chiarissima coscienza ch’egli aveva della nullità della propria opera, egli non si gloriava del passato, però, come nella vita così anche nell’arte, egli credeva di trovarsi ancora nel periodo di preparazione, riguardandosi nel suo più segreto interno come una potente macchina geniale in costruzione, non ancora in attività. Viveva sempre in un’aspettativa, non paziente, di qualche cosa che doveva venirgli di fuori, la fortuna, il successo, come se l’età delle belle energie per lui non fosse tramontata.” Svevo muore inaspettatamente all’età di sessantasei anni per una crisi cardiaca conseguente ad un incidente automobilistico avvenuto dalle parti di Motta di Livenza il 13 settembre 1928 ed in cui rimane lievemente ferito. Alla morte aveva spesso pensato in vita, regalando a vari personaggi riflessioni argute e talvolta maliziose. L’aveva concepita come parte del tutto, come esito finale della malattia, metafora estrema della fuga. Chissà cosa avrebbe pensato della sua. “La salute non analizza se stessa e neppure si guarda allo specchio. Solo noi malati sappiamo qualche cosa di noi stessi.”