Once in a lifetime: Eusébio

Il 5 gennaio 2014 muore a Lisbona Eusébio da Silva Ferreira, di professione calciatore e dirigente. La “Pantera Negra” è stato il giocatore più importante e influente del continente africano. Dal giorno in cui venne al mondo, a Mafalala, nel più popoloso quartiere di Lourenço Marques, l’odierna Maputo, in Mozambico, e per oltre settant’anni, Eusébio ha rappresentato l’anima di un calcio diverso e lontano, figlio di un equilibrio geopolitico che non gli consentì nemmeno di vestire la maglia del suo Paese, storica colonia portoghese. Quel calcio parlava una lingua sconosciuta, nutriva contraddizioni, respirava contrasti e colori, reclamava soprattutto libertà e rispetto. Pur rimanendo altero e inafferrabile, offrì un tetto ed una casa ai tanti talenti di quell’epoca.

Una stagione critica e complessa

Eusebio accarezzò la palla in una stagione critica e difficile, frutto di intrecci, mappe e interessi. Il suo calcio raccontava un mondo complesso e ruvido, che non faceva sconti e prestava poca attenzione a codici e regole. Il suo trasferimento dallo Sporting Lourenço Marques al Benfica di Guttmann fu, per mesi, al centro di un’accesa “querelle” con i cugini dello Sporting Lisbona per una censurabile questione di contratti, diritti, prelazioni, soldi e furbizie. Quel derby di mercato non si rivelò semplice. Il giovane Eusébio dovette addirittura nascondersi tra le poche ombre di un paesino dell’Algarve in attesa che la tempesta passasse e che il Benfica trovasse, infine, una dignitosa via d’uscita. Ciò nonostante, Eusébio, con quel passo felpato e quella forza interiore, ha spesso avuto ragione di quell’ambiente, dimostrando maturità, carattere, capacità, tenacia, arguzia e intelligenza e distinguendosi, sia in campo che fuori, per grandi doti tecniche e umane.

Un talento umile e attento

Non furono solo l’acrobatica potenza, la precisione balistica, l’innato fiuto del gol e la grande velocità a regalargli un posto nella storia. In fondo, Eusébio è sempre rimasto quell’esuberante e giovane talento che faceva mangiare la polvere agli avversari con gli Os Brasileiros, la “sua” squadretta di Mafalala, quell’instancabile attaccante che conquistava le folle di curiosi inseguendo magistralmente gli incerti rimbalzi di un pallone tenuto assieme alla meglio con calzini e giornali. Eusébio è sempre rimasto quel ragazzino umile e attento, a dispetto dei miraggi di un ricco benessere che poteva ammaliare e stordire chi era cresciuto prendendo a calci, con il pallone, anche la fame, la miseria, se non la vita stessa. Per quella veloce punta con il vizio del gol che tutti a Mafalala chiamavano “Niguèm”, “Nessuno”, non fu impresa difficile conquistare la stima e l’ammirazione dei tifosi. All’esordio con la maglia rossa e bianca del “Glorioso” in un’amichevole nel maggio del 1961 stende praticamente da solo l’Atletico Madrid segnando tre volte e, solo qualche mese più tardi, riserva lo stesso trattamento anche al mitico Santos di Sua Maestà Pelè. Quelli che seguiranno saranno anni straordinari, pieni di vittorie entusiasmanti e imprese fallite per un beffardo alito di vento. Con le “Aguias” conquisterà dieci titoli nazionali, cinque Coppe del Portogallo e una storica Coppa dei Campioni a spese del Real Madrid dei fenomeni. Quel 2 maggio 1962 ad Amsterdam il Benfica di Guttman fa girare la testa ai fuoriclasse di Munoz che commettono una lunga teoria di errori. Fu quella loro sprezzante superbia ad innescare la reazione portoghese. Pensarono, infatti, che sarebbero stati sufficienti due giocate di Puskas per aver ragione degli avversari ma fecero male i conti con Coluna e Eusebio che con una doppietta realizzata in soli tre minuti consegnò alla storia un magico 5 a 3 ed una fantastica impresa.

La “fatale” Inghilterra

La carriera di Eusébio sarebbe potuta essere ancora più lusinghiera se il destino non avesse remato contro nei momenti più determinanti. A giocargli un brutto scherzo in tutte e tre quelle occasioni fu la vicina Inghilterra. A Wembley nel maggio del 1963, in occasione della finale di Coppa dei Campioni, dovette infatti inchinarsi al Milan del “Paron” e di Altafini e, sempre nel catino londinese, cinque anni più tardi, la sorte lo costrinse ad arrendersi allo strapotere dello United di Best e Charlton. Ma la delusione più cocente fu quella del mondiale inglese del 1966. Di quel campionato la “Pantera” divenne un protagonista assoluto impartendo lezioni di calcio anche al Brasile di “Mané” Garrincha e Pelè. La sua corsa si fermò però in semifinale al cospetto dei Bianchi d’Inghilterra, avviati a conquistare il loro primo ed unico titolo mondiale. “Anche se perdemmo, il calcio portoghese ne uscì ugualmente vincitore” ricordò Eusébio qualche anno più tardi. Quasi a riparare quell’atroce e per certi versi ingiusto torto, gli inglesi aggiunsero anche la sua statua di cera alla celebre galleria di Madame Tussaud. In quell’estate del 1966 Eusébio avrebbe potuto avere tutto: avrebbe potuto scegliere qualsiasi strada o qualsiasi squadra, avrebbe potuto attraversare oceani o valicare catene montuose. Rimase invece a Lisbona, a contare i fili d’erba del vecchio Estàdio da Luz ed entrò ugualmente nella leggenda.

L’anima del football

Eusébio ha saputo coltivare e mantenere uno speciale legame con l’anima del football e la sua più vivida essenza. Tra tanti aneddoti, uno, a distanza di molti anni, ancora commuove. Durante la sfortunata finale della Coppa Campioni 1967-68 con il Manchester United di Charlton e Best, all’ennesima formidabile e plastica parata di Stepney che aveva ancora una volta arpionato un suo velenoso ed impossibile tiro, Eusébio si fermò in mezzo all’area di rigore avversaria e nel silenzio di Wembley si mise ad applaudire sinceramente quella prodezza, in barba a tensioni, scaltrezze e partigianerie. Ecco, al di là di vittorie e sconfitte, ascese e cadute, proprio questo dovrebbe essere il calcio, quello che dovremmo insegnare ai nostri figli e ai piccoli fans, quello da giocare e da frequentare, da tifare e, soprattutto, da raccontare, con buona pace di un infinito e insopportabile catalogo di fragili alchimie, stratagemmi o ipocriti infingimenti. “Fece il suo ingresso in campo correndo come può correre solo chi fugge dalla polizia o dalla miseria che gli morde i talloni. E così, zigzagando, divenne campione d’Europa. Fu un africano del Mozambico e il miglior calciatore di tutta la storia del Portogallo: Eusébio, gambe lunghe, braccia cadenti, sguardo triste.” (Eduardo Galeano)