Once in a lifetime: Leonardo Sciascia

L’8 gennaio 1924 nasce a Racalmuto Leonardo Sciascia, futuro scrittore, saggista e poeta. Sciascia è stato uno spirito guida, un pensatore libero e indipendente, un’anima anticonformista, una di quelle che ogni stagione mutevole si augura di trovare sulla sua strada. Come narratore ha offerto una brillante rappresentazione del potere e di tutta la sua ampia gamma di tragiche ipocrisie, come intellettuale ha dato alla parola giustizia una nuova e rigorosa sostanza, come politico ha cercato di scavare tra le tante esecrabili vicende di un presente oscuro e inquietante. Ma su tutto, Sciascia, a dispetto di molti colleghi, è riuscito nella difficile impresa di assegnare a termini come valore e prezzo un distinto significato.

“Una storia semplice”

Ci sono due cose nella vita di Sciascia che mi hanno colpito e che coincidono, in qualche modo, con la fine della storia, piuttosto che con il suo inizio. Perché nello stesso giorno in cui prese congedo da questo mondo, il 20 novembre 1989, Adelphi diede alle stampe una delle sue opere più memorabili, una storiella morale che faceva pace con il passato, con le sue radici ed un’idea etica del mondo. Il Maestro lo aveva scritto mentre stava combattendo la malattia, nell’attesa di una fine ormai prossima. Lo aveva completato dal letto d’ospedale negli ultimi giorni di vita. Quell’opera non era nata casualmente. Sciascia l’aveva accarezzata a lungo, come si fa con la geometria delle emozioni o, magari, con la teoria del tutto. Era cresciuta in lui come cresce la consapevolezza di un universo in movimento. Tra quelle righe aveva racchiuso tutto quanto: i suoi natali, le sue traiettorie, la scrittura e la storia della sua splendida terra e dei poteri che l’hanno a lungo soggiogata. Tra quelle sue parole respirava l’illuminismo degli esordi come pure quel maturo e caustico umorismo che tradiva una feroce critica sociale. “Una storia semplice” raccontava, a dispetto del titolo, una storia enorme e complicata che, al progredire della lettura, si faceva piccola ed esemplare nella sua intima lucidità. Perchè in quelle righe il Maestro era riuscito a racchiudere l’intera sciagurata trama di una nazione, le oscure stanze del potere, gli affari riservati, la negligenza colpevole delle istituzioni, la meschinità delle cose umane e la mancanza di rispetto per sè e gli altri. Cose alte e cose basse, ancestrali ed elementari, come facevano i più grandi, come raccontavano Omero e Shakespeare. In quella trama aveva celato tutte le ombre di quella deteriore mentalità contro cui si era scagliato, i patti scellerati e le convenienze, i silenzi colpevoli e l’omologazione culturale a cui si era sempre ribellato. Nel ridotto spazio di quelle pagine si lasciò alle spalle tutto, anche la speranza di un futuro diverso.

Una profonda esigenza etica 

Del potere e dei suoi subdoli intrecci Sciascia se n’era sempre occupato. Quel potere aveva inizialmente sorrisi invitanti e volti suadenti, modi affabili e bonari. Era quello stesso che poi si era lasciato andare ad uno sprezzante autoritarismo, che si era mostrato onnipotente e onnivoro, ubiquo e totalizzante. Quel potere disponeva a piacimento, aggirando vincoli e diritti e sacrificando sull’altare della governabilità qualsiasi cosa anche la giustizia. Sarà proprio questo tema a ricorrere in molti libri e saggi. Vi rifletterà tra le pagine de “Il giorno della civetta” e di “Todo Modo”. Vi tornerà anche in quel suo ultimo e agile pamphlet. Alle trame di quell’elegante sviluppo narrativo, Sciascia affiderà il profondo senso etico della giustizia e la necessità della sua tutela al cospetto dell’indifferenza, del perbenismo e della ottusa banalità del male. A differenza di altri immensi capolavori, “Una storia semplice” lavora su un piano reale. Il racconto si lascia alle spalle il tempo metafisico e guarda invece al presente da un punto di vista distaccato e meno fatale, nella urgente consapevolezza di un radicale cambiamento. Una speranza, un ammonimento o forse solo un testamento olografo.

La sua eredità

Le questioni relative al suo lascito mi conducono direttamente anche all’altra cosa che mi è più cara della sua brillante avventura letteraria. Una faccenda piccola e semplice, prendendo ancora una volta a prestito alcune sue singolari metafore. Perché Sciascia, poco prima di lasciare questo cammino, stese di proprio pugno poche scarne lettere. Erano una sorta di memoria, qualcosa destinato ad essere inciso sulla nuda pietra. Parole sottili e sorprendenti, rubate alle emozioni e all’intelligenza. Pensieri che restituivano tutta la modernità della sua visione, che celebravano un proverbiale anticonformismo e riscattavano al contempo un poetico e fondato pessimismo. «Ho deciso di farmi scrivere sulla tomba qualcosa di meno personale e di più ameno, e precisamente questa frase di Villiers de l’Isle-Adam: “Ce ne ricorderemo, di questo pianeta”. Così partecipo alla scommessa di Pascal e avverto che una certa attenzione questa terra, questa vita, la meritano.»