Once in a lifetime: Jack Lemmon

L’8 febbraio 1925 nasce a Newton, nei sobborghi di Boston, Massachusetts, John Uhlerin Lemmon III, di professione attore. Jack fu uomo dai rapporti umani intensi, profondi e duraturi. Era un’anima pura, cordiale e sempre disponibile soprattutto con gli attori più giovani. Perché, come per molti della sua generazione e come per la sua stessa storica spalla Walter Matthau, recitare era prima di tutto una grande passione, un divertimento e, solo poi, anche un’attività ben retribuita.

Un versatile talento

Buona parte di chi ebbe la fortuna di approdare agli Studios nella stagione d’oro del dopoguerra, in anni di generose semine e promesse, mantenne per il resto della propria vita un profondo attaccamento e rispetto per il lavoro e il talento. La sua bravura Jack l’aveva costruita negli anni giovanili. Rispetto a molti colleghi aveva infatti sviluppato un’estrema e formidabile attitudine alla versatilità, grazie a cui passava con facilità dai toni comici e leggeri della commedia a registri più intimi e drammatici. Questa grande flessibilità era un lascito del destino e delle circostanze, più precisamente il frutto della gravità. Perché Jack era venuto al mondo all’interno di un ascensore di un ospedale, bloccato per un guasto tra un piano e l’altro, in una condizione, quindi, d’estrema instabilità e incertezza, in una sorte di dimensione intermedia e di passaggio. Quella condizione natale, così indefinita e irrisolta, si sarebbe in seguito riaffacciata più volte nel suo quotidiano sotto svariate forme. La successiva adolescenza non fu propriamente una stagione di serenità per l’acutizzarsi di una serie di malanni, non ultima una grave patologia alla colonna vertebrale, che lo obbligarono a subire il calvario di numerose operazioni. Non furono esperienze semplici e Jack finì per portarne il segno sino nell’età adulta. Lemmon aveva infatti dovuto rinunciare a tante cose, alla spensieratezza dei suoi anni, all’azzardo, al rischio e allo sport. Aveva però imparato sin da subito a dare valore alle cose e ad apprezzare tutto quello che aveva a disposizione. Jack era così maturato precocemente. Si era ritrovato rapidamente davanti a scelte importanti ed aveva preso ad osservare curiosamente le strane pieghe della natura umana, cogliendo con ironia sfumature e significati che sfuggivano ai più.

Un pezzetto di sé

Tutto questo aveva contribuito a forgiarne il carattere. Lemmon brucia le tappe e diventa un attore desiderato e ricercato. Ovunque reciti, in qualsivoglia ruolo o contesto, il suo investimento è sempre massimo. Jack fa felici i registi perché regala loro la sensazione di mettere sempre un pezzetto di se stesso nei personaggi che interpreta, anche e soprattutto quando gli risultano lontani se non agli antipodi. Il suo era un talento assolutamente speciale. Riusciva a riempire ogni spazio che gli veniva concesso con cortesia, abilità e discrezione senza stravolgere mai i tratti dei personaggi e senza maltrattare troppo il copione. Quel suo straordinario sorriso, triste e perbene, entrò così nella storia del cinema divenendo il magistrale protagonista di sceneggiature e pellicole molto distanti tra loro. Recitare per Jack era la prova più dolce, dolorosa e entusiasmante come la vita stessa. Significava crescere e mettersi alla prova vestendo sempre panni e spoglie diverse. Non a caso, era solito ripetere che “un attore deve sempre cercare una storia con un punto di vista, ma deve comunque ricordarsi di fare cinema e non comizi”. Come i più grandi, Jack recitava senza bisogno di farlo. Gli bastava poco o nulla, una strana espressione o l’accenno di un fugace sorriso per bucare lo schermo e trasmettere emozioni risultando intenso, divertente e simpatico. Nella sua vastissima filmografia convivono molte piccole e grandi gemme che appartengono a generi tra loro distanti, dalle celebri commedie uscite dalla magica penna di Billy Wilder, come “L’appartamento” e “A qualcuno piace caldo”, alle trame decisamente più drammatiche de “I giorni del vino e delle rose” e di “Salvate la tigre” sino alle tematiche sociali, politiche e ambientali de “La sindrome cinese” o di “Missing”.

L’immortale sodalizio con Matthau

Ma per la stragrande maggioranza del pubblico, Jack rimarrà per sempre il partner perfetto di Matthau nelle celeberrime, caustiche e esilaranti commedie di relazione. Assieme a Walter, Jack seppe leggere il suo tempo, interpretando le nevrosi e le sottili inquietudini della vita moderna. Il legame che si stabilì tra loro due non fu solo una mera ed esemplare faccenda di empatia professionale ma piuttosto il frutto di un’amicizia sincera e fraterna che si giocava sul filo di sguardi e smorfie anche fuori dal set. Quella strana alchimia, fatta di ammiccamenti, battute, complici facezie e tempi comici, durò più di trent’anni. Singolarmente “La Strana Coppia” si divise solo agli inizi del nuovo millennio. Quel distacco, però, non durò troppo a lungo. Il 27 luglio 2001 Jack si arrese alla sua malattia quasi dodici mesi esatti dopo la scomparsa dell’amico Walter. L’addio non fu così triste, perché per tutti andava solo a raggiungere il compagno di esilaranti scorribande che probabilmente lo stava aspettando con un buona mano di carte, una bottiglia di vino ed un paio di caustiche battute. Le loro spoglie riposano al Westwood Village Memorial Park Cemetery di Los Angeles, l’una accanto all’altra, così almeno continueranno a rubarsi le battute per l’eternità.