Once in a lifetime: Kevin Keegan

Il 14 febbraio 1951 nasce a Armthorpe, piccolo centro del South Yorkshire, Joseph Kevin Keegan, di professione calciatore e allenatore. Il suo nome ha mantenuto negli anni un sapore del tutto particolare, perchè, tra quelle dure consonanti e vocali, il tempo ha continuato a custodire la magia della migliore epopea del calcio inglese.

La magia di quel nome

Sin da bambino, in quel suo nome, avvertivo molto altro: la poesia commovente di stadi pieni in ogni ordine di posti, il fascino di neve, pioggia e fango, i cori, le sciarpe e il fiato corto delle culture giovanili che iniziavano a presidiare gli spalti e la vertigine infinita delle terraces, la rarità di qualche immagine sgranata che filtrava a notte fonda dalle reti straniere, l’attrazione degli “Home Internationals” sotto le torri di Wembley, il richiamo irresistibile di Match e Shoot! durante lunghi sabati nebbiosi ed anche il brivido di sfide interminabili a Subbuteo. Il mondo di Keegan non finiva lì. Apparteneva anche ad allenatori visionari, ad attacchi spavaldi, a galoppate imprendibili ed a cross velenosi che spiovevano da ogni dove al centro di un’area di rigore piccoli e trafficata. C’era spazio per il colpo di testa assassino, per il gol da cineteca, per le pagine ingiallite degli Annuals e, soprattutto, per la replica delle mitiche divise ufficiali della Admiral, inarrivabili oggetti del desiderio di ogni adolescente cresciuto negli anni Settanta.

Rapidità e fantasia

Kevin Keegan è stato tutto questo e anche molto di più. Perché, su tutte, il giovane Kevin regalò due cose al ruvido calcio di Sua Maestà: impressionante rapidità e fantasia assoluta. Furono esattamente queste le qualità che colpirono al cuore Bill Shankly al punto da spingerlo ad offrire a quel promettente sedicenne lo stratosferico ingaggio di cinquanta sterline a settimana, rubandolo alla concorrenza e agli emissari del Newcastle. L’impatto di Kevin sul Liverpool fu leggendario. Perchè quei centosettanta centimetri di nervosa e imprevedibile agilità seminano scompiglio sul fronte offensivo dei Reds aprendo come sardine le rocciose difese di tutte le squadre più blasonate per depositare, con impressionante regolarità, una pioggia di preziosi e decisivi palloni sulla testa del gigante gallese Toshack. Con quel suo gioco veloce dalle rabbiose folate sulla fascia, Keegan maltratta così ogni difesa, ridicolizza ogni terzino, scompiglia tatticamente ogni mossa e contromossa, obbligando gli avversari alla frustrazione del fallo sistematico. Con Keegan in campo la temeraria concezione del calcio d’attacco di “Shanks” diventa un pratica assoluta ed un incontenibile cocktail letale che si impone in First Division, in Europa e in tutte le coppe.

Intelligenza e maturità

A dispetto della sua giovane età, Kevin è un calciatore maturo, intelligente, elegante, pronto a prendere per mano la squadra quando servono nervi saldi e spalle larghe, pronto a metterci la faccia come anche a fare le valigie non appena comprende che la vita è fatta di stimoli e che esiste un continente che attende solo di essere conquistato. Keegan ama il rischio e l’avventura e vuole mettersi alla prova. Capita a tutti i più grandi. E’ una questione di opportuna scomodità, il tentativo di trovare il limite nel modo più difficile e complicato. D’altro canto, si sa, creatività e l’ingegno nascono dagli ostacoli più ardui. Keegan cerca la sfida. Non va a giocare a Madrid, dove farebbero carte false pur di prenderlo e nemmeno a Monaco di Baviera, dove il Bayern con lui in campo sarebbe diventato un’invincibile “armada”. Kevin invece segue l’istinto e se ne va sull’estuario dell’Elba, ad Amburgo, dove inaugura un nuovo ciclo con la complicità di “spalle” d’eccezione come Kaltz, Magath e Hrubesch. Kevin supererà brillantemente anche quella prova, anche se l’esperienza tedesca non si rivelerà altrettanto entusiasmante di quella trascorsa in patria. Keegan conquista un esaltante titolo di Bundesliga e sfiora pure la Coppa dei Campioni che sfugge all’ultimo nella finale con il Nottingham Forest di Brian Clough.

Infortuni e sfortuna

Nelle sua stagione più bella, quelle del “Pallone d’Oro” e dei titoli maggiori, la sfortuna gli impedisce di vincere di più. Il suo vero e unico avversario sembra proprio essere la dea bendata, che gli impedisce di mettersi in mostra nella vetrina più agognata e attesa, quella dei Campionati del Mondo. Il caso crudele lo azzoppa, infatti, a sole poche settimane dai Mondiali spagnoli del 1982, dove l’Inghilterra di Ron Greenwood va a caccia del secondo alloro con una delle migliori formazioni di sempre. Giocherà purtroppo solo qualche raro scampolo di partita, troppo poco per incidere e dare una mano alla sua Nazionale. Cercherà allora nuove sfide. Rientrerà in patria per tentare la fortuna con i Saints di Channon e Ball e, quindi, con il Newcastle. Poi, dopo la fine di una straordinaria carriera, arriva anche l’esperienza in panchina come allenatore della Nazionale, del Manchester City e dei Magpies. Anche in questo caso, la sorte non si dimostrerà troppo benevola. “King Kev” è rimasto un’icona assoluta di un calcio unico e indimenticabile. Non solo per i suoi riccioli ribelli e le sue prodezze. Kevin considerava infatti il calcio una passione prima che un lavoro, una fortuna prima che una fatica. Quando si aggiudicò il suo primo “Pallone d’Oro” nel 1978, dopo la prima trionfale stagione in Bundesliga, alla cerimonia di consegna, ancora con il prestigioso trofeo stretto forte tra le mani sudate, si guardò indietro ricordando commosso tutto quello che lo aveva portato sino a lì. «Lo dedico a mio padre Joe, a Bill Shankly, agli amici dello Scunthorpe, a quelli del Liverpool e ai compagni dell’Amburgo. Perché nessuno, nel calcio, può mai vincere da solo».