Once in a lifetime: Carlo Mazzacurati

Il 2 marzo 1956 nasce a Padova Carlo Mazzacurati, di professione regista cinematografico. Non ho mai creduto agli amici che mi spiegavano che il cinema fosse perlopiù una questione di programmazione, razionalità e lucida geometria. Mi sono invece ostinatamente attaccato al suo lato più aereo e all’idea che stare dietro ad una macchina da presa fosse piuttosto una dimensione emotiva, una sorta di filtro magico che poteva anche regalare l’ebbrezza di cogliere traiettorie imperscrutabili e rotte nascoste. Perché la sua solida grammatica ci regala sempre gli aspetti più rari e preziosi di questo viaggio.

Qualcosa da condividere

Il “mio” cinema non è mai stato solo mestiere. Certamente non quello che ho sempre preferito, quello che talvolta mi ha regalato insonnia ed inquietudine, quello che ha messo in discussione convinzioni e idee, quello che ha fatto compagnia ai pensieri agitando corde che non conoscevo. Quel cinema ha sempre avuto una diversa e più precisa vocazione, quella di affidare, sempre e comunque, qualcosa a qualcuno, fosse anche solo il riverbero di una visione confusa e sfumata. Nel corso degli anni, quel cinema ha intrecciato codici espressivi fatti di polvere, di cenere e di quella stessa materia grigia che scuote il mondo dall’alto di un calibrato spettro di immagini, suoni, emozioni, paure e sentimenti. Perché il cinema non fabbrica sogni ma favorisce piuttosto scambi e condivisioni. Perché parla all’anima in modo più accorato di una fredda tesi, di un pensiero laterale o di un ragionevole punto di vista. Perché rimane pura arte di relazione, un piccolo prezioso mattone di un capitale di natura sociale che si è spesso rivelato assai più remunerativo ed appagante di quello prodotto dalle speculazioni finanziarie o dal mondo della produzione.

Traiettorie oblique e contromano

Di quel cinema ho apprezzato l’azzardo. Sarà forse per questo che mi sono sempre piaciuti i registi che andavano ostinatamente contro le regole, quelli che sfidavano gli insidiosi vortici della corrente dominante senza però cercare troppo i riflettori, senza cavalcare l’enfasi della retorica o i soliti facili miti del dissenso, ma coltivando, per tutto contro, un’irregolarità di fondo nel solco di un’apparente omologazione. Quei registi mi hanno regalato emozioni forti, stravolgendo il punto di vista e consegnandomi un mondo nuovo da popolare con piani, progetti e iniziative. Tra quelle traiettorie oblique ci sono diventato adulto tentando spesso di inseguire le tracce lasciate da chi ha raccontato leggerezza senza celare mai indugi o domande capitali. Perché in quei dubbi gentili c’era la radice di tutto, del disagio come della bellezza.

Una dimensione nebbiosa

Esattamente questo è stato il cinema di Mazzacurati, prematuramente scomparso a soli cinquantasette anni. Carlo ha infatti regalato ai suoi scenari di vita randagia, sospesi tra le diverse umidità della bassa padovana e del Delta del Po, una dimensione nebbiosa, vivida e assorta come nemmeno il cinema neorealista era riuscito a fare. Su quelle strade, tra argini e golene, “cani del gas” e balere, Mazzacurati ha ambientato un paesaggio mentale popolato da anime in precario equilibrio e spietatamente umane, perennemente alle prese con espedienti, imprese balorde e istinti irresistibili. Quell’ostinata lotta nei confronti di un destino meschino era la lotta di ognuno di noi. Alcune delle sue più riuscite pellicole, come “Notte italiana”, “La giusta distanza”, “Vesna va veloce”, “L’estate di Davide”, regalano un quadro metaforico che, malgrado il costante e deciso ancoraggio alla dimensione locale, esce dagli stretti confini di queste terre di frontiera per raccontare sino in fondo e senza sconti la natura umana, gli impulsi, gli sbandamenti e le cadute. Come un grande pittore, Carlo non si è fermato alla superficie delle cose, ma ha piuttosto affinato la ricerca cromatica, imparando a coltivare il gusto per l’ombra più che quello per la sfumatura, per la sottrazione più che per il pieno.

Una poetica quotidana di piccoli grandi gesti

Attraverso il suo obiettivo, la provincia e i suoi riti sono così diventati lo scenario elettivo per i registri di una commedia umana dal sapore antico e immortale, per una poetica quotidiana costellata da piccoli grandi gesti di silenziosa ribellione e sofferta resistenza. Carlo era un combattente tenace e goffo, gentile e cortese. Aveva sempre creduto in quella strada, in quel singolare percorso, anche quando molti erano stati gli amici che avevano tentato di dissuaderlo. Anche lui alla fine, proprio come i suoi eccentrici e sgangherati anti-eroi, ha fatto l’impossile pur di reagire alle circostanze tentando di sfuggire ad un ingrato destino. Come i suoi immortali personaggi, anche Carlo ha finito per infilare qualche strada senza uscita, faticando non poco a cercare una soluzione. Tutto ha comunque lasciato un segno. Queste difficoltà, nelle sue mani, si sono infatti trasformate in straordinarie opportunità. E’ proprio lì, tra quelle incerte righe, che ha mostrato tutta la sua grandezza, trattando un rutilante microcosmo di personaggi tragici e sfortunati con garbo e rispetto, con ironia e senso della proporzione. Mazzacurati ha così rubato al tempo il suo ritmo secolare seguendo da vicino le traversie dei suoi tanti stralunati personaggi, come se proprio da loro, dagli ultimi, dagli sconfitti e dalla complessità delle loro incerte trame, dipendesse il futuro di tutti.