Once in a lifetime: Teófilo Cubillas

L’8 marzo 1949 nasce a Lima Teófilo Juan Cubillas Arizaga, di professione calciatore. Per tutti quelli che ho incrociato nelle mie prime rotte, “El Nene” non era solo una straordinaria icona, una figurina introvabile ed una capigliatura estrema, sorta di tricotica provocazione per migliaia di calvi incipienti. Teófilo era il miglior talento naturale del continente sudamericano dopo Pelè. Anzi, per dirla proprio con lui, con lo stesso O’ Rey, ne era il più degno successore.

Un capolavoro di rapida agilità

In campo, Cubillas era eccezionalmente abile non solo quando doveva accarezzare la palla ma, anche e soprattutto, quando doveva muoversi sul terreno di gioco facendosi trovare sempre al posto giusto nel momento giusto. Era fulmineo non solo quando seminava il respiro grave ed i tacchetti dei difensori, ma anche quando doveva rientrare precipitosamente a raddoppiare le marcature, quando cercava il contrasto, scippando la sfera dalle gambe degli avversari, o quando leggeva magistralmente la silenziosa geometria della profondità seguendo da vicino l’azione che poi concludeva al volo gonfiando la rete avversaria. Teófilo apparteneva a una categoria superiore. La sua era pura arte. Non a caso, per tutta la durata di quella bruciante stagione, il mondo lo ricomprese nel ristretto novero dei più grandi. Perché ogni volta che correva sembrava possedere la capacità di “sentire” l’azione ancora prima che questa prendesse vita. Per questo “El Nene” divenne un quotatissimo “uomo squadra” in tutti i club in cui andò a militare, un trascinatore che trovava sempre il modo di lasciare il segno nella partita.

Il giocatore più europeo del Sudamerica

In quel calcio lento e riflessivo, elegante e ricercato, la sua dinamicità divenne una sorta di provocazione intellettuale, una sfida stilistica all’amor patrio, perché tutta quella corsa non apparteneva a quel mondo. Così, quella di Teófilo divenne una qualità guardata quasi con sospetto e tollerata a fatica dal zelante parterre di cronisti e teorici del futebol. Quando gli appiccicarono il titolo di “calciatore più europeo” del continente sudamericano non furono pochi a pensare che si stesse consumando una vendetta, che dietro a quell’epiteto si celasse la velenosa sottolineatura di una specialità atipica e aliena al contesto. Con lui in campo le squadre sembravano magicamente acquisire carattere e personalità, impressionando gli avversari e trasmettendo una sensazione di solidità e robustezza che, magari, poi stentava ad emergere nel freddo tabelloni del risultato finale.

Traguardi impensabili

Finché vestì la maglia del Perù, la “Blanquiroja” ottenne risultati stupefacenti, mettendo spesso in fila tutti i più blasonati rivali continentali ed arrivando a sfiorare traguardi impensabili. Brasile e Argentina fecero spesso le spese delle sue prodezze e delle traiettorie balistiche che era solito spiovere verso la rete avversaria. Ai Mondiali messicani del 1970 finì al terzo posto nella classifica marcatori, subito dopo Gerd Müller e Jairzinho, strappando alla critica il titolo di “Miglior giovane” della competizione. Nel 1975 guidò il Perù alla conquista della “Copa América” eliminando il Cile, la Bolivia, il Brasile e la Colombia, ottenendo inoltre la nomina di “miglior giocatore” del torneo. I successivi Mondiali argentini del 1978, quelli della tragica e triste parata militare della giunta golpista, passarono alla storia per motivi non propriamente esemplari. Il Perù vi scrisse infatti una delle più brutte pagine della storia del calcio regalando un’imbarazzante goleada ai padroni di casa e consentendo loro di accedere alla semifinale del torneo. Il Perù perse infatti la partita decisiva con l’Argentina per sei a zero in un mare di voci e sospetti che si riveleranno più che concreti e reali solo qualche decennio più tardi. Tra i pochi a salvarsi da quell’inquietante incubo ci fu proprio l’indomito Cubillas, preso impunitamente a calci per novanta minuti. In quel campionato Teófilo va a segno con regolarità e costanza finendo immediatamente alle spalle di Kempes nella classifica dei bomber. E’ grazie a quei risultati che Cubillas detiene ancora oggi un imbattuto record. A distanza di tutti questi anni, Teofilo è ancora uno dei tre giocatori al mondo – gli altri due sono Klose e Thomas Müller – ad aver segnato almeno 5 gol in due differenti edizioni dei campionati.

Una strepitosa carriera

Cubillas ha raccolto sogni e applausi anche nei diversi club in cui ha militato. Con la maglia dell’Alianza di Lima ha realizzato il ragguardevole bottino di 116 reti in 175 partite, mentre con quella del Porto ha depositato ben 65 palloni alle spalle dei portieri avversari, entrando nel leggendario albo d’oro della squadra portoghese. Poi, dopo una fugace parentesi nel soccer americano, ci fu anche spazio per un applaudito ritorno a casa, prima del ritiro ufficiale. Cubillas rimarrà uno dei più grandi centrocampisti di sempre, uno che quanto a stile, eleganza e concretezza era secondo solo a mostri sacri come Pelè, Maradona e Platini. “El Nene” è stato un “diez” vecchio stile, abile con la palla al piede e dalla grande visione di gioco. Quella classe gli ha regalato la vertigine del funambolo e gli ha permesso di dilettare il mondo intero con punizioni impossibili, tocchi fantasiosi e giocate mozzafiato. Il suo futebol è rimasto per anni un oggetto raro e romantico, rapido e veloce, irriverente ed efficace. Come tutti i più grandi numeri dieci della storia, anche Teófilo si è fatto beffe del tempo catturando l’immaginazione ed i sogni di diverse generazioni di appassionati e tifosi.