Once in a lifetime: William Gibson

Il 17 marzo 1948 nasce a Conway, nella Carolina del Sud, William Ford Gibson, di professione scrittore. William è stato ben più di un talentuoso autore. Al pari di Philip K. Dick, Gibson ha usato la penna non solo per regalare trame e intrecci narrativi, ma anche per “vedere” il futuro, immaginando temi e contesti che hanno anticipato e modificato lo stesso significato di contemporaneità, ridando slancio al genere fantascientifico.

L’intuizione del futuro

William ha coltivato l’intuizione di un futuro prossimo, cibernetico e connesso, che si componeva di una pluralità di mondi e realtà parallele. L’idea della matrice, ancorché nata sui tasti di una vecchia macchina da scrivere, ha radicalmente rivoluzionato i registri dell’epoca ispirando un filone creativo successivamente ripreso e frequentato da molti scrittori e svariati magnati di Hollywood. Ma William è rimasto per decenni lontano da palcoscenici, clamori e consensi, percorrendo piuttosto strade secondarie e poco battute. Da giovane si era avvicinato alle comunità hippy, cercando quindi riparo in Canada per evitare di andare a morire in Vietnam. Dopo la laurea in letteratura inglese a Vancouver, aveva preso il primo aereo per l’Europa e se n’era andato in giro senza meta per molto tempo grazie ad una modesta rendita che proveniva dalle proprietà dei genitori. Gibson viveva alla giornata. Scriveva e inventava scenari. Era curioso, molto curioso. Con il tempo aveva imparato ad osservare le persone, a coglierne le precarie certezze come  i comportamenti più laterali. William traeva tutte le proprie ispirazioni dal mondo reale. Metteva a fuoco cose che sfuggivano agli altri. Quella era una specialità che aveva allenato per decenni tra le molte tappe del suo percorso. William non si accontentava dell’ordinario. Andava a caccia di eccezioni, di singolarità rispetto alla regola e all’omologazione quotidiana, concentrandosi su scenari, trame, schemi e snodi. Gibson assemblava mondi complessi e tra quelli si addentrava come un novello esploratore nella giungla, con il machete ma anche con il blocco degli appunti a portata di mano. Ecco perché i suoi racconti mostravano sempre la disarmante capacità di tenere assieme la fredda meccanica della scienza e l’imponderabile radice dell’esperienza umana.

Suggestioni concrete e reali

Le sue prime visioni furono frutto di suggestioni concrete e reali che appartenevano spesso ai luoghi che visitava. Alcune di esse, ad esempio, le aveva mutuate sperimentando lo straniante effetto del passeggiare in mezzo alla folla con una cuffia e un walkman, altre gli si erano materializzate osservando i comportamenti di una manciata di ragazzini al cospetto di un videogioco. Furono queste osservazioni empiriche a suggerire a Gibson la trama dei suoi primi brevi fulminanti racconti. A quei primissimi lavori seguì il riuscito “Johnny Mnemonic”. E’ solo il 1981, ma da lì in avanti nulla sarà più come prima. In quelle pagine Gibson racchiude la brillante e strutturata tesi dell’esistenza di più dimensioni parallele a cui i protagonisti dei suoi racconti potevano accedere a piacimento. Non c’è niente che funzioni così. L’impatto dei lavori successivi è ancora più notevole, perché sia “Neuromante” che “Giù nel cyberspazio” fanno letteralmente a brandelli tutti i canoni espressivi, rendendoli desueti nel solo spazio temporale di una prima e pur fugace lettura. Quello narrato da William è un universo complesso, intricato e alternativo dove gli umani si sono spinti sino ai limiti delle proprie capacità cognitive, nel perimetro di ciò che oggi chiamiamo neuroscienze. Attraverso l’ibridazione di un’interfaccia digitale, lo scrittore americano trasforma così tanti losers in straordinari strumenti di memoria collettiva alle prese con molteplici piani di azione e con l’ambito virtuale di un mondo perennemente connesso.

Un grande innovatore

Gibson è stato un assoluto innovatore non solo nella stratificazione delle trame ma anche nel linguaggio e nella struttura del racconto che giocava il proprio irresistibile appeal sulla velocità della scena, sull’azione e, soprattutto, sugli universi immaginifici in cui era ambientato. Gibson ha racchiuso in quei mondi tutte le inquiete sollecitudini del suo, offrendo una meticolosa narrazione di universi evoluti e credibili, governati da interessi economici e affamate corporation, dalla malavita organizzata e dalla yakuza. Quei mondi apparentemente lontani erano, in realtà, una sorta di clamorosa amplificazione di quello presente. Erano sistemi dominati da istinti primitivi, dallo strapotere finanziario, da un fitto reticolo di autostrade informatiche, dall’ossessione del controllo, da esecutivi impotenti e bande di criminali. Sotto la superficie narrativa delle sue storie, Gibson ci ha regalato una lucida analisi di un contesto ambientale affascinante e futuribile, intrecciando magistralmente le proprie visioni con l’incerta sorte di personaggi perennemente rincorsi dai guai e dalla vita, destinati a cadere in balia di diverse identità e di un reticolo di derive emotive. Come i grandi classici della fantascienza distopica, la sua scrittura ci ha restituito un enorme labirinto di stimolanti metafore attraverso cui riflettere, ancora una volta, sulla natura della nostra esistenza e sul corso di questo tempo che ci rende prigionieri.

Il Cyberpunk

Con i suoi racconti brevi e avvolgenti, William ha aperto un nuovo capitolo della “science fiction” tenendo a battesimo un nuovo e fortunato genere letterario. Il cyberpunk, che si andrà rapidamente popolando di anti eroi  e magnifici perdenti, segnerà tutti i percorsi creativi degli anni Novanta. Sarà un’onda che si infrangerà con grande fragore su tutte le arti espressive, dalla musica ai comics, dal cinema alla televisione, influenzando per decenni diverse derive. Le sue ardite architetture narrative lasceranno così il segno. A distanza ormai di decenni, il suo rimane un mondo duro e poetico, intriso di incertezze e dubbi, abitato da individui in crisi, ostaggi di un irrisolto rapporto conflittuale con la tecnologia, strenuamente impegnati nel tentativo romantico di difendere la loro anima dalla freddezza di un mondo governato da raggelanti elaborazioni dei peggiori istinti primordiali. Anche per questo motivo, quelle lucide visioni gli hanno guadagnato un posto di riguardo nel pantheon dei profeti della rivoluzione digitale.