Once in a lifetime: Ilaria Alpi

Il 20 marzo 1994 muore assassinata in un agguato a Mogadiscio Ilaria Alpi, giornalista per lavoro e passione. Principalmente il mestiere del giornalista dovrebbe consistere in questo, nel rivolgere cioè domande sollecitando risposte. Non è certo un mestiere facile né semplice. Dipende dal modo in cui lo si svolge, dall’intensità dell’impegno, dalla serietà e dalla dedizione, dalla passione e dal distacco. Soprattutto, dal profondo senso di curiosità e rispetto che nutriamo verso ciò che ci circonda e con cui abbiamo quotidianamente a che fare.

Mai nulla per scontato

Questo strano mestiere ha ben poche regole, molte meno di quelle che vengono narrate. La principale è quella di non dare mai nulla per scontato. Fare il giornalista coincide sempre nel formulare non solo la prima ma, anche e soprattutto, la seconda e la terza domanda senza preoccuparsi se queste incontrino il favore dell’interlocutore o possano risultare troppo dirette, indigeste, scomode o irriverenti. E se poi le risposte non dovessero arrivare, allora sarebbe necessario insistere con gentile ostinazione, scavando ancora alla ricerca di fatti e riscontri all’interno di un perimetro sempre più ampio e articolato. Perché, per fare il giornalista, è necessario governare grandi competenze e professionalità. Perché fare il giornalista, a dispetto di codici vetusti e ipocriti buoni solo per scrivere il proprio nome in un albo, significa restituire sempre un piccolo e significativo frammento di realtà.

Un piccolo e significativo frammento di realtà

Questo era esattamente quello che faceva Ilaria. Questo era il suo mestiere, quello che svolgeva con intuizione, capacità e spirito di iniziativa. Ilaria amava stare al centro della notizia, non seduta comodamente dietro ad una scrivania o ad un computer. Preferiva muoversi sul campo tra scenari critici e difficili, talvolta anche ostili, delicati e complessi. Ilaria andava in giro ad osservare e scrutare, a fare domande ed a cercare risposte in luoghi pericolosi, regni incontrastati di traffici e interessi illeciti, senza nessuna protezione, senza scudi o paracadute, perché temeva che tutte quelle precauzioni l’avrebbero fatalmente tenuta lontana dalla verità. Perché Ilaria aveva scoperto come andare a caccia di notizie. Era diventata formidabile nel seguire le piste, nel fiutare le scie tra allusioni e reticenze, nello scorgere le omissioni e nel tracciare i percorsi del denaro. Ilaria non rimaneva chiusa in una stanza d’albergo a telefonare in redazione i suoi pezzi. Ilaria non stava a centinaia di chilometri dal fronte a raccontare, per interposta persona, i bombardamenti. Ilaria era sempre dove doveva essere.

Una cronista intelligente e coraggiosa

Ilaria non dava mai ascolto agli avvertimenti, sia quando erano opera di qualche zelante attaché d’ambasciata che quando rimbalzavano dal campo amico, da qualche ufficio che, in teoria, avrebbe dovuto offrirle supporto e protezione. Non gli dava bado, anche se magari ne rimaneva intimamente scossa e perplessa. Perchè Ilaria non aveva paura di rincorrere le persone giuste, a scanso anche di pestare qualche piede di troppo sollevando qualche polverone. Quel rischio era parte del suo mestiere, quello che svolgeva ogni giorno, con coraggio e passione, in Somalia come a Roma.

Ilaria e Miran

La vera storia di Ilaria Alpi e del suo operatore, Miran Hrovatin, non è ancora stata scritta. A distanza di tutti questi anni giace ancora sepolta negli archivi e nelle pieghe della storia. E’ ancora lì ad attendere di conoscere i nomi dei principali protagonisti, degli esecutori e dei mandanti. Perchè la storia di Ilaria e Miran non è quella di una banale rapina finita male, ne tantomento quella raccontata da improbabili inchieste parlamentari o quella tardivamente rivelata da qualche discusso faccendiere legato ai servizi segreti. La storia di Ilaria e Miran è piuttosto quella di un barbaro omicidio su commissione, di un debito di sangue pagato da qualche “signore della guerra” a qualche influente funzionario. Ha lo stesso sapore della polvere da sparo e dei kalashnikov, lo stesso peso dei container e dei bidoni di rifiuti tossici abbandonati in fondo al mare da qualche parte al largo delle coste di Mogadiscio. E’ il frutto di uno sciagurato scambio, di una transazione e di un contratto, uno di quelli che si stipulano quotidianamente in nazioni opache e in territori d’ombra, da est a ovest, da nord a sud, dove la vita vale poco più di un pacchetto di sigarette. La storia di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin è una storia di meschini interessi, traffici illeciti, depistaggi, inquinamenti e servizi segreti. Ed è pure la storia di due bravi genitori, caparbi e coraggiosi, pronti a qualunque cosa pur di far luce sugli eventi che hanno portato alla morte della loro figlia. E’ un’ordinaria vicenda di giustizia lenta e denegata, un’ignobile cronaca fatta di politici disinteressati e incompetenti, di leggerezze e furbizie. Quella di Ilaria e Miran è il solito “mistero” irrisolto, una storia italiana, forse ben più semplice di quella che ci è stata sin qui raccontata. Ma, soprattutto, quella di Ilaria e Miran è la storia di chi ha fatto fino in fondo il proprio mestiere, di chi non ha mai avuto paura di fare la seconda e la terza domanda senza piegarsi a pressioni o minacce. Il suo tragico epilogo e i vent’anni sin qui trascorsi senza utili risposte sono una macchia che continua a sporcare la coscienza di tutti.