Once in a lifetime: Jo Siffert

Il 7 luglio 1936 nasce a Friburgo, in Svizzera, Joseph Siffert, di professione pilota automobilistico. “Seppi” sapeva andare forte con qualsiasi mezzo avesse a disposizione, moto, auto o sidecar che fosse, perchè questa era la sua grande passione, sin da quando suo padre lo portò, ancora dodicenne, ad assistere al Gran Premio di Svizzera a Berna, sul mitico tracciato di Bremgarten. Quella corsa fu un’autentica rivelazione. Tra quel pubblico Jo vide il suo futuro.

Notti in bianco e chiavi inglesi

Jo aveva cominciato da zero, senza soldi né sponsor, da una dura gavetta fatta di latte d’olio, chiavi inglesi e gas di scarico. Aveva imparato il mestiere andando a fare l’apprendista. La sua passione era cresciuta lentamente, racconto dopo racconto, intervento dopo intervento, facendo le ore piccole chino su cilindri e pistoni. Fu quella parentesi a segnare la sua carriera, furono quelle notti in bianco a fargli comprendere la potenza di quell’irresistibile richiamo.

Moto e sidecar

Siffert cominciò così, dal basso, con grande umiltà. Come tutti i piloti animati dalla sola passione, cominciò a correre con quello che il destino gli regalava. Come molti protagonisti di quella stagione, iniziò così dalle due ruote, dalla motocicletta che permetteva di gareggiare senza grandi investimenti. A ventun’anni “Seppi” inizia a partecipare ad alcune competizioni locali. Un collega lo spinge a provare il sidecar. Jo ne rimane letteralmente affascinato. E’ una delle più  difficili categorie. A dispetto delle apparenze, quel mezzo è uno spericolato incrocio tra una curiosa motocicletta, un’autovettura a tre ruote e un assortito catalogo di svariate acrobazie. Perché nel sidecar non basta correre come il vento, non serve dare solo gas, ma è necessario tenere quel precario missile incollato alla strada e alle curve. Quel compito spetta al secondo, al passeggero, quello che deve sporgersi di lato per cercare il bilanciamento, spostando di volta in volta il peso a seconda della velocità e della gravità. E’ un ruolo pericoloso ma entusiasmante, perché solo così si impara a leggere il tracciato e a gestire le traiettorie. Jo partecipa a qualche prova del Mondiale e si fa ammirare per coraggio e intraprendenza. Quell’esperienza risulterà decisiva perché quando risale in sella ad una motocicletta della classe 350 cc si aggiudica subito il titolo di campione nazionale.

Una giostra di eccitanti opportunità

Ma la vera passione di Jo rimangono le quattro ruote. Il balzo è grande, ma Siffert si dimostra subito all’altezza delle aspettative. Brucia le tappe in Formula Junior e approda velocemente in Formula Uno. Sono i primi anni Sessanta e il mondo delle corse è ancora una giostra di eccitanti opportunità. E’ un’inesorabile progressione. Siffert gareggia in moltissime categorie: dalle corse in salita a quelle di durata, da quelle a ruote coperte sino alle auto di serie, dai bolidi delle formule minori ai prototipi. Il suo stile di guida si rivela particolarmente indicato per le gare di durata. Jo è abile ad amministrare la meccanica, a gestire il cronometro e la classifica. In quell’ambito raccoglierà infatti le soddisfazioni più importanti, partecipando a molte competizioni del Mondiale con la Porsche 917 LH nella leggendaria livrea azzurra-arancio della Gulf. Ma sarà a bordo di una Porsche 908/03 che centrerà, in coppia con Brian Redman, uno dei più prestigiosi successi in carriera, alla Targa Florio del 1970. Jo gestisce magistralmente il mezzo per tutta la durata della gara mantenendo, dal’inizio alla fine, un ritmo indiavolato che gli permetterà di lasciarsi in scia tutti gli avversari, persino la rossa Ferrari 512 S di Nino Vaccarella, insuperato mago dei tornanti delle Madonie.

Scomodo e veloce

Siffert al volante è un cliente scomodo. La sua storia in Formula Uno è una lunga cronaca di duelli. Arriva spesso a podio e sale sul gradino più alto nel Gran Premio di Gran Bretagna del 1968, a Brands Hatch, davanti ad Amon e Ickx. Nella massima categoria Siffert vive tutta l’ultima gloriosa stagione delle scuderie private. Correrà per tutte le squadre più blasonate, dalla Lotus alla Brabham, dalla Cooper alla March, anche se la fortuna raramente lo assisterà. Nel 1971, stanco di amarezze e delusioni, si accasa alla BRM. E’ una factory importante, prestigiosa e ambiziosa. I piani futuri lo convincono, ma l’inizio stagione non è dei migliori e Jo colleziona tre ritiri consecutivi.

“Là, dove non c’è rischio, non c’è vita”

Poi, la fortuna sembra improvvisamente cambiare verso. A Zeltweg Jo coglie infatti la sua seconda affermazione ufficiale in un Gran Premio, realizzando una storica tripletta, aggiudicandosi la gara e cogliendo sia la pole position che il giro più veloce in gara. Un’escalation di prestazioni lo catapulta nelle primissime posizione della classifica generale che concluderà al quinto posto. Manca però ancora un appuntamento, forse il più importante e prestigioso. Il 24 ottobre 1971 a Brands Hatch va infatti in scena la Victory Race. La gara non è valida per il campionato ma, per via di un ricco montepremi, è tra le più ambite del calendario. Siffert parte dalla prima fila con le migliori speranze. Quella inglese è, in assoluta, la sua pista favorita. “Seppi” sembra a proprio agio sulle compressioni e i saliscendi del tracciato britannico, ma un destino crudele lo attende alla curva numero 16. La sua BRM, forse a seguito di un fortuito contatto con un avversario, finisce fuori pista ad oltre duecento chilometri all’ora. L’auto prende fuoco e Jo rimane avvolto dalle fiamme. Il circus piange la sua perdita anche se non si ferma. A tributargli l’ultimo saluto ai suoi funerali si raduna una folla di oltre cinquemila persone. Il prelato che tiene l’orazione in sua memoria ne ricorda così le gesta. “Là, dove c’è il rischio, c’è la morte. Là, dove non c’è rischio, non c’è vita”.