Once in a lifetime: Francisco Gento López

Il 21 ottobre 1935 nasce a Guarnizo, in Cantabria, Francisco Gento López, di professione calciatore. Paco è stato uno dei calciatori spagnoli più vincenti di sempre, una sorta di uomo dei record. Con la “camiseta blanca” del Real Madrid ha infatti disputato otto finali di Coppa dei Campioni vincendone sei. In totale, Gento ha partecipato a quindici edizioni del torneo continentale scendendo in campo ottantanove volte e siglando trentuno reti. Oltre alla massima competizione europea, Gento ha conquistato dodici titoli nazionali, una Coppa Intercontinentale, due Coppe di Spagna e due Coppe Latine, le progenitrici della Coppa dei Campioni.

“Palla di fuoco”

Basterebbero questi numeri e l’impressionante galleria di trofei a guadagnargli la vertigine di un posto d’eccellenza nell’Olimpo del pallone. Ma Gento non è stato solo una pagina entusiasmante dell’enciclopedia pallonara, un palmares da brividi e uno straordinario campione. In un calcio tecnico e talentuoso come quello giocato, tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, dai Blancos, in una squadra zeppa di fenomeni come Alfredo Di Stéfano, Ferenc Puskás, Héctor Rial, Raymond Kopa e José Santamaria, Gento rappresentava la velocità e l’astuzia. Paco apriva prospettive inedite, forzava geometrie e sconvolgeva il fronte avversario. Paco era infatti l’uomo dell’ultimo passaggio, quello dell’assist vincente. Quel suo agile talento era frutto di possenti leve ma anche di una costante e stretta frequentazione con l’atletica che negli anni giovanili lo aveva strenuamente conteso al calcio. Quella leggerezza e quella velocità risultarono determinanti nella sua successiva carriera di calciatore. Perché Gento era gli stretti dribbling, il controllo rapido, il cambio di passo e lo scatto bruciante. “Palla di fuoco” lo ribattezzarono i giornali dell’epoca per via delle sue imprevedibili e fulminanti discese sulla fascia sinistra, per quelle folate da autentico sprinter che terminavano sempre sulla linea di fondo da dove ammaestrava palloni altrimenti impossibili, con grazia, stile e naturalezza, come un acrobata circense in trasferta. Gento era un funambolo incontenibile, una furia della natura, un centrocampista pericoloso e incontenibile.

Dal Santander al Real Madrid

Gli esordi portano i colori bianco-verdi della sua terra, del club dei suoi sogni. Nel 1952, a soli diciotto anni, Gento debutta in Primera Division con il Racing Santander. Non ci rimarrà però molto. Il giovane Paco gioca talmente bene che l’esuberante dirigente del Real Bustamante fa carte false pur di portarlo con sè a Madrid. Il mondo del giovane Francisco cambia nell’arco di poche ore perché dalle parti del Bernabeu il cantiere per la costruzione della più forte squadra d’Europa lavora giorno e notte. L’obiettivo dichiarato della dirigenza sono i massimi trofei continentali. Il salto per un ragazzo di quell’età è enorme. Troppo grande. Ad attenderlo nell’accademia del fùtbol ci sono un palcoscenico che fa tremare le gambe alla sola vista e una platea esigente. L’inizio è difficile. Gento stenta e fatica a trovare il ritmo vertiginoso degli esordi. Gli chiedono di occupare una posizione avanzata e lui non rende. Per quel suo gioco rapido e per i suoi inserimenti micidiali Paco ha invece bisogno di un complice, di una spalla che chiuda le triangolazioni. Ma tra i Blancos non c’è nessuno che voglia sacrificarsi. Troppe primedonne, troppi campioni. Il giovane Gento va così incontro a un fitto fuoco di critiche e vacilla. Ma, per sua fortuna, la stagione successiva a Madrid atterra José Héctor Rial Laguía. Il prodigio uruguaiano, che ha fatto la fortuna del Nacional di Montevideo, si rivela la spalla ideale. Fa la mezzala e si sovrappone perfettamente ai rapidi movimenti di Gento. Nasce così una delle più letali coppie della storia madridista. Rial si spinge in profondità regalando spazi incredibili a Gento, finalmente libero di spaziare a proprio piacimento a ridosso delle punte. Hector riesce così a dare equilibrio e sostanza al centrocampo madrileno. Con lui in campo Gento si può dedicare alla sua arte preferita, quella di fare impazzire le difese avversarie.

La galerna del cantabrico

Paco partiva sempre da lontano, zigzagando come una saetta tra gambe e scarpini. Quei suoi movimenti assicuravano gli stessi effetti di una sbornia. Tra doppi passi e controlli acrobatici, le serpentine di Gento disorientano il fronte opposto. Paco trova sempre il punto debole dello schema. Pare infatti possedere un talento istintivo e animale, quello di intuire sempre il corridoio migliore. Gento infatti era solito salire palla al piede sfidando apertamente lo schieramento avversario. Per un momento poi pareva fermarsi per valutare il da farsi, per studiare la situazione. Poi, infine, scattava imperiosamente nello stretto, chiedendo il triangolo e puntando l’avversario come un toro infuriato. Lo saltava in velocità e in bello stile, dando sempre una straordinaria manifestazione di potenza e superiorità. Ai poveri e ansimanti terzini che si lasciava alle spalle regalava pomeriggi di incubi e frustrazione. Paco alzava allora lo sguardo verso il centro dell’area, intuiva i movimenti aerei di Di Stefano e Joseito e accarezzava il pallone dal basso verso l’alto imprimendogli una perfetta parabola che si consegnava ai piedi o alla testa dei fortunati compagni di reparto, a cui altro non rimaneva se non gonfiare il sacco alle spalle del portiere avversario. Gento non è stato solo un magnifico futbolista. Gento ha fatto ben di più. Ha inventato un ruolo, quello della mezzala di punta, e l’ha consacrato alla modernità, incarnandone al pari di Best e Mazzola, il mito e l’icona. Quando, ancora oggi, si sussurra il suo nome, pare che al Bernabeu si levi da nord-ovest un’improvvisa folata di vento freddo e gelido che cinge le spalle e spegne il respiro. E’ un soffio lontano, che arriva dal golfo cantabrico, da Santander. E’ la galerna che spinge e corre veloce come solo Francisco Gento sapeva fare.