Once in a lifetime: Harry Houdini

Il 31 ottobre 1926 muore a Detroit Ehrich Weisz, in arte Harry Houdini, di professione illusionista. Harry aveva conosciuto la miseria più nera. Vi era scappato cercando fortuna oltre oceano. Era arrivato negli Stati Uniti con una valigia transitando per i bianchi padiglioni di Ellis Island. Nel suoi sogni di bambino c’era la speranza di un futuro migliore, c’erano la fuga e il viaggio, le navi cariche di immigrati e la ricerca affannosa di un lavoro buono per sopravvivere. Ehrich giungeva dal cuore dell’Europa, da un’Ungheria in piena crisi e trasformazione. Cambiò nome e abitudini. A non cambiare, però, furono le condizioni di vita, che anzi si fecero ancora più dure e incerte. Il sogno sembrò non realizzarsi. Ma, ad un certo punto, nel tumultuoso mare di fame ed espedienti con cui quella sua complicata adolescenza aveva imparato a fare i conti, si presentò un’idea bislacca. Quel qualcosa aveva a che fare con saperi antichi, con le mani, le braccia, la testa e gli occhi. Quel qualcosa aveva a che fare con magie e illusioni. Harry partì così dal nulla per scherzo e finì per scalare pareti, per infrangere barriere e valicare limiti sgusciando da catene e riemergendo da gabbie immerse nelle fredde acque di fiumi americani e europei. Harry mise a frutto quello che aveva a disposizione. Utilizzò il proprio corpo e le proprie attitudini con intelligenza e acume, lavorò su paure ataviche e resistenze e, infine, trovò il proprio posto nella storia. Fu così che Harry, l’ungherese dagli occhi spiritati, divenne un’autentica leggenda.

Un grande escapista

La magia arrivò qualche anno dopo il suo arrivo in terra americana, quando si lasciò affascinare dalla scia di saltimbanchi e prestigiatori. Harry rimase ammaliato dall’umanità che frequentava il circo, le fiere ambulanti e i raduni. Imparò a fare la conoscenza di un mondo singolare popolato da strane anime e da domatori svogliati, acrobati distratti, nani chiacchieroni, donne barbute e uomini forchetta. Quel mondo aveva qualcosa che lo toccava. Perché quel mondo rimaneva in perfetto equilibrio tra realtà e finzione, giocando lealmente con i sentimenti. Il giovane Harry scoprì così il suo talento. Iniziò per vezzo e continuò per gioco, ma alla fine quel suo atletico disimpegno divenne una stimata e seria professione. Perché Harry aveva una straordinaria specialità, quella di sfuggire ai vincoli, materiali o spirituali. Rubò lo pseudonimo al grande illusionista Houdin e si inventò escapista. Tra i tanti titoli che si sarebbe temerariamente guadagnato, fu proprio questo a descriverne appieno complessità ed essenza. Questa straordinaria attitudine affascinò giovani e donne, politici e uomini d’affari trasformando le sue gesta in leggenda, come le strisce a fumetti più lette, come le prime magiche avventure di Mandrake e Lothar. Divenne un personaggio popolare, perché realizzava l’impossibile. Era l’unico, infatti, in grado di sfidare le polizie di mezzo mondo evadendo da ogni trappola, legato, ammanettato, chiuso in una cassa di legno inchiodata, incatenato e gettato in fondo al mare. Houdini giocava pericolosamente con il desiderio umano più antico e profondo, con un’attitudine arcaica e primitiva, quella di entrare e uscire a piacimento dalle dimensioni.

Un filtro per le zone d’ombra

In Harry fuga e sfida animarono ogni impresa, dalla più incredibile a quella più ordinaria. Con lui l’escapologia divenne un’arte e una filosofia, un modo di concepire l’esistenza, un filtro etico con cui leggere la realtà e le zone d’ombre dell’anima. Harry ne trasse un codice, una sorta di magica deontologia. Perché lui le cose le faceva sul serio, senza finzione o artifizi. Giocava con le illusioni, ma dalle manette si liberava grazie a straordinarie capacità atletiche. Ingaggiò così una personale lotta contro le credenze popolari e lo spiritismo da quattro soldi. Perché lui era uno autentico, un serio professionista che si presentava al pubblico senza inganni o infingimenti, sfruttando un corpo minuto ma flessibile e muscoloso, teso più di un fascio di nervi. Ne nacquero polemiche e una lunga coda di accuse, sospetti e maldicenze, perché non pochi erano quelli che campavano abusando invece della fiducia e della buona fede della gente. Houdini non smise mai di dargli la caccia smascherando truffatori e ciarlatani. Per tutto contro, Harry mostrò di apprezzare sempre qualsivoglia fuga dal reale, anche e soprattutto, quelle più letterarie e metaforiche, come quelle raccontata dal cinema o dai libri, di cui divenne appassionato collezionista.

Una magnetica icona cinematografica

Grazie ad una fulminante carriera di attore, Houdini si trasformò rapidamente in un’icona mediatica, in un mito della fantasia a cui tutto era concesso e che tutto avrebbe potuto, come leggere nel pensiero o smaterializzarsi, fornendo ispirazione e utili riferimenti alle scorribande misterico-letterarie di Sarah Bernhardt, Sir Arthur Conan Doyle e George Bernard Shaw. Ma le sue mirabolanti imprese erano, in realtà, il frutto sudato di programmazione e allenamento. A tutto questo, Harry aggiungeva un’incredibile abilità nel forzare e aprire qualsiasi serratura o lucchetto, una solida tecnica contorsionistica, nervi saldi, resistenza al dolore e un innato senso dello spettacolo. Per lunghi decenni Houdini affronterà prove incredibili e spericolate. Sopravviverà a tutte le sfide ingaggiate con se stesso e la sorte. Il destino, però, ne disporrà beffardamente. Morirà, infatti, lontano dalle sue amate scene, in circostanze mai chiarite, a soli cinquantadue anni, per le conseguenze di una peritonite innescata da un colpo basso infertogli dal solito esibizionista o, forse, provocata da una dose di veleno. La sua arte, però, gli provvide una fuga eterna.