Once in a lifetime: Emilio Comici

Il 21 febbraio 1901 nasce a Trieste Leonardo Emilio Comici, alpinista e speleologo. Emilio viveva di emozioni verticali. Era l’alta quota e la nuda parete verticale ma anche la grande oscurità di pozzi e forre. Emilio era una perfetta linea perpendicolare, quella che era solito tracciare tra mondi diversi, tra acqua e nuvole, roccia e cielo. Era spinto da una feroce ostinazione: lo spingeva in alto come nel buio profondo a schivare spigoli e guglie o a sfidare passaggi critici ed esposti. Quella verticale era la sua dimensione preferita, quella da violare, la migliore palestra dove mettere alla prova talento, nervi e fantasia. Quella verticale era tutto il suo mondo.

Stile puro

Comici non era solo un eccezionale scalatore. Condensava in sè idee, muscoli, coraggio, intelligenza, saperi antichi ed emozioni moderne. Visse la pù grande stagione dolomitica, quella dell’assalto alle grandi vette. A lui e ad altri grandi di quell’epoca, come Cassin, Zanutti, Casara e Carlesso, si deve infatti l’apertura di buona parte delle alte vie più difficili. Emilio non si fermava alla superficie delle cose: lui non si accontentava di salire, di scalare issandosi lungo anfratti difficili e scivolosi. Lui cercava sempre di andare oltre, di piegare gli assi prospettici, le dimensioni e le grandezze. Affrontava la pendenza senza strategia, sfidando le pareti in purezza, tracciandovi perfette linee rette, graniticamente verticali come gocce d’acqua in caduta libera. Le traiettorie delle sue più celebri ascese assumevano lo stesso profilo di lunghe e affilate lame, come l’impressionante sesto grado della nord-ovest del Sorapiss o l’infinito campanile sul Sassolungo. Al buio e alla luce vinse sfide memorabili violando il Bus de la Lume come il Cimon del Cavallo, il Piz Popena e la Cima Grande, la Ovest di Lavaredo e la Cima Vezzana. Al buio e alla luce contese il proprio destino.

Eleganza, umiltà e passione

Emilio era un talento naturale. Sembrava nato per salire in scioltezza, per scegliere i percorsi più logici e risolvere i passaggi più esposti e critici con naturalezza e agilità. Eleganza, umiltà e passione convivevano nel suo modo di pensare e vivere la montagna. Raccontano le cronache, e qualche straordinario filmato d’epoca, che Emilio non salisse arrampicando con la classica cautela ma, piuttosto, sporgendosi e issandosi tra ganci e fessure come fosse un acrobata. Comici danzava tra le cime fluidamente, saltando con agilità e armonia di croda in croda, di cengia in cengia. Dino Buzzati che talvolta lo accompagna sui sentieri è talmente stupefatto della perfezione e della rigorosa bellezza delle sue ascensioni che non può fare a meno di scrivere che al suo cospetto tutti i più audaci arrampicatori apparivano solo come “goffi e pesanti scimmioni”.

Dall’Adriatico alle montagne

E pensare che Comici non era nato tra valli e montagne. Era venuto al mondo con i piedi nell’Adriatico, abbracciato al golfo gigliato, da madre veronese e da padre triestino. Ma sin da bambino, aveva preso a guardare verso l’alto, verso il Carso e il profilo di quelle montagne amiche. Nel 1929 Comici è già un mito. Lo riconoscono tutti ormai come un virtuoso dell’alpinismo, un artista della scalata, un funambolo della roccia. La stampa lo osanna, il regime lo corteggia e lo blandisce con il mito dell’alpinismo eroico. Ma Emilio è uno tosto: nonostante le pressioni, manterrà sempre a debita distanza il potere e le sue lusinghe. Emilio percorre tutti gli anni Trenta scalando le pareti più difficili, cercando sempre la sfida impossibile, la curva più esposta, la torre più erta. E’ una lotta continua con se stesso più che con la natura.

Tra adorate cime

La sua corsa sembra infinita. Emilio pare destinato a realizzare chissà quale impresa. Ma in un sabato pomeriggio di ottobre del 1940, durante una scampagnata con gli amici, un beffardo destino lo attende in agguato. Quel giorno non va a cercare l’orizzonte arrampicandosi su qualche cengia o guglia, non scala qualche temibile lastra di granito. Quel sabato va solo a fare una gita con gli amici in Vallunga. Infila nello zaino poche cose: un po’ di pane, la borraccia, un maglione e un vecchio cordino, buono per giocare, mica per salire. Ma, poi, su quei prati la tentazione è tanta, impossibile da contenere. C’è una paretina, semplice e diritta. E’ proprio davanti a loro. La montagna lo chiama, lo blandisce, lo sfida. C’è un pomeriggio da riempire e tanta voglia di ridere e scherzare. Dai che vediamo chi arriva in cima per quella strada. E’ una piccola palestra di roccia, una robetta da quaranta metri, cose per bambini in cerca di brividi, una sciocchezza. Emilio incoraggia un’amica a salire con lui. Gli farà vedere qualche presa, qualche piccolo segreto per rimanere attaccata alla parete. Sale agile con un niente. Ha quel piccolo vecchio cordino appresso. Si assicura non perché serva ma solo per far vedere all’amica che in montagna non si possono mai prendere rischi inutili. Sale. Ma il destino lo attende poco sopra, quasi sulla sommità. La roccia bagnata, infatti, lo tradisce e scivola. Emilio si lascia andare, quasi per ridere, tanto è assicurato, tanto c’è il cordino. Ma, d’un tratto, l’anima della fune si spezza, sonoramente, con un cupo rimbombo. L'”angelo delle Dolomiti” precipita di schiena inopinatamente, quasi senza opporre resistenza e finisce incredibilmente per sbattere la testa sull’unico sasso in rilievo di un prato erboso d’alta quota. La sua esistenza si chiude così inopinatamente tra adorate cime, in un giorno qualsiasi, in un giorno ordinario, in un modo ordinario, lontano da sfide estreme e dalle scariche di adrenalina a cui aveva fatto abitudine. Comici se ne va per sempre nel pomeriggio di quel 19 ottobre 1940, mentre il cielo si riempie di nubi e l’inverno si prepara a soffiare. La montagna lo pretende e lo chiama a sé come tutti i suoi spiriti migliori. “Noi viviamo di sensazioni, intese nel senso più nobile della parola. Ognuno ha le proprie, altrimenti la vita sarebbe inutile e vuota, perché per vivere compiutamente bisogna pure arrischiare qualcosa.”