Once in a lifetime: August Sander

Il 20 aprile 1964 muore a Colonia August Sander, fotografo di professione. August era nato a Herdorf in anni tempestosi di promesse mancate, subito dopo la riunificazione della Germania, sotto un orizzonte fuligginoso di fabbriche e miniere. Di lì a poco, tra quegli altri camini, il suo paese avrebbe tragicamente giocato una drammatica partita con il destino cedendo infine alle lusinghe di populismi lugubri e crudeli. Lì, in quel grigio perimetro di terra e cielo, avrebbe probabilmente finito per vivere tutta una vita se il destino non lo avesse invece spinto verso tutt’altra direzione.

Un colpo di fortuna

Come molti dei grandi protagonisti del primo Novecento, anche August finisce ad occuparsi di lenti, lastre e sali d’argento per puro capriccio del caso. Un professionista, giunto sin lì da Berlino con l’ambizione di documentare i pozzi del distretto minerario, gli propone infatti di assisterlo nel reportage locale. Per August è una sorta di folgorazione. Da quel momento la sua esistenza prende infatti una nuova strada finendo per inseguire le tenui tracce di quell’arte fragile e parziale. August segue come un’ombra il fotografo, impara le basi di quel mestiere e comincia a prendere confidenza con lenti e pellicole. Quella vicinanza risulterà decisiva per nutrire il suo talento. Sarà così che August coltiverà una personale visione del mondo.

Ritrattista di professione

August convince lo zio a finanziare l’acquisto dell’attrezzatura necessaria e si mette a girare il paese prima di stabilirsi a Graz e, quindi, a Colonia dove rileva un avviato studio fotografico. Sander impressiona così lastre per professione, ritraendo uomini importanti, notabili e famiglie alle prese con ricorrenze, battesimi, comunioni, scadenze e festività. Quella quotidiana e stimata attività gli consegna le chiavi della magmatica trama dell’essere umano. In quelle lunghe parate di persone e pensieri, August impara a maneggiare tratti e caratteri. I suoi ritratti sembrano infatti possedere un’incredibile forza evocativa. Con la macchina tra le mani, Sander mette in mostra la stessa abilità di un pittore o uno scultore. Le sue fotografie sembrano infatti andare ben oltre la superficie, i visi e le pose per scrutare invece in profondità, tra trame e essenze. Tra un’inquadratura e l’altra, comprende che quella sua attitudine potrebbe essere messa a servizio di un progetto notevole e ambizioso. E’ così, quasi per scherzo, che comincia a dedicarsi alla costruzione di una composita galleria di ritratti. August fotografa persone di ogni estrazione e genere con l’intenzione di raccontare la società tedesca dell’epoca. In diversi anni comporrà un’immenso e accorato mosaico di volti, immagini ed espressioni, un catalogo umano a tinte forti suddiviso per professioni, interessi ed età.

“Uomini del XX Secolo”

Sander governa magistralmente luci e profondità, sceglie i volti più evocativi e, grazie ad uno stile descrittivo, gentile e poetico, scava tra le loro pieghe sino a portarne in superficie i tratti più intimi, gli affanni quotidiani, le incertezze e le emozioni nascoste. August ha una segreta ambizione, quella di rappresentare, nella loro diversa molteplicità, tutte le qualità che compongono l’universo umano, descrivendone e documentandone gli aspetti più vividi, reali e naturali, senza alcuna posa o artificio. “Uomini del XX Secolo” è uno straordinario spaccato sociale della Germania del primo dopoguerra, quella stessa che, uscita dalla fuggevole e contraddittoria esperienza della Repubblica di Weimar, si affida alla scorciatoia populista del nazional-socialismo. L’estremo realismo delle pose, la malinconia che pervade quei volti alle prese con l’insicurezza di un disagio quotidiano, i loro tratti naturali, così distanti e diversi dalla presunta perfezione della razza ariana, assumono, agli occhi dei nuovi gerarchi, il carattere di una pericolosa provocazione. La loro reazione, purtroppo, non tarderà a farsi sentire.

In fuga dalla Gestapo

August viene segnalato. La sua attività è sorvegliata a vista e seguita con grande sospetto dalle autorità. Nel 1934 il figlio Erich, sospettato autore di pubblicazioni sovversive, viene arrestato e condotto in carcere, dove morirà dieci anni più tardi, mentre la Gestapo confisca e distrugge buona parte dei suoi archivi. Centinaia di lastre, cliché e negativi vengono dati alle fiamme per far sparire per sempre quelle immagini incerte e critiche. Ma, per una serie di fortunate coincidenze, una parte cospicua delle sue fotografie si salva sopravvivendo all’usura del tempo. Gli scatti di Sander restituiscono ancora oggi le pieghe dolenti di una società ben diversa da quella propagandata dal regime: quelle pose raccontano un comune sentimento di smarrimento, timore e sgomento, di angoscia e tensione per quello che già aleggiava nell’aria e che, di lì a poco, si sarebbe tragicamente materializzato, trascinando la Germania, l’Europa e il mondo intero sul ciglio di un oscuro e spaventoso baratro. Così scrisse di lui e dei suoi straordinari scatti Alfred Döblin: “La sua opera non consiste nella produzione di ritratti somiglianti, in cui si possa riconoscere con facilità e certezza un individuo determinato, ma di ritratti che suggeriscono intere storie. Chi guarda queste immagini nette, potenti, ne sarà illuminato più che da conferenze o teorie e imparerà molto su di sé e sugli altri”.